lunedì 9 novembre 2015

Salute sul lavoro e "idoneità", in arrivo un attacco ai diritti di chi lavora?

In epoca di crisi economica, di sempre maggiore precarizzazione del lavoro e di tagli alla sanità, si parla sempre meno di salute sui luoghi di lavoro. Ma anche su questo fronte sono all'orizzonte possibili novità normative che, se apparentemente sembrano poter avvantaggiare i lavoratori, in realtà rischiano di trasformarsi in armi a doppio taglio per chi lavora.
Sul tavolo del Governo c'è infatti una richiesta di estendere ai medici del lavoro anche la competenza sulle malattie di origine extra-lavorativa, che potrebbero quindi determinare la mancata "idoneità" per svolgere certe professioni, con conseguenze negative sul mantenimento del posto di lavoro. 
Entrando nel dettaglio si sta profilando la possibilità che vengano ampliati i casi di "non idoneità lavorativa" a carico dei lavoratori, situazione che si verificherebbe se andasse in porto l'"Introduzione dell'obbligo di sorveglianza sanitaria non solo nei casi attualmente previsti, ma in tutti i casi in cui dalla valutazione dei rischi emerga un rischio per la salute" nell'ambito di una possibile modifica della legge 81 del 2008, come richiesto dai rappresentanti dei medici del lavoro nei confronti del Ministero del Lavoro in occasione di alcuni incontri relativi alla predisposizione dei decreti delegati sul cosiddetto "Jobs Act".

lunedì 26 ottobre 2015

La Polonia svolta a destra. Il Portogallo vuol andare a sinistra. Dall'UE due pesi e due misure?

Le elezioni politiche svoltesi ieri in Polonia sono state vinte da "Diritto e giustizia" dell'ex premier Kaczynski che ha ottenuto la maggioranza dei seggi e sarà in grado di governare da solo senza alleati. Si tratta di un partito populista ultraconservatore cattolico ed euro-scetticomolto simile a quello di Orban che governa ormai da qualche anno l'Ungheria portando avanti politiche razziste. 
Le conseguenze del voto polacco avranno una ripercussione su scala internazionale: infatti il partito "Diritto e giustizia" è favorevole a un irrigidimento delle relazioni con la Russia, che potrebbero quindi causare un aumento della tensione con Mosca. Ma conseguenze ci saranno anche nelle modalità con cui la Polonia agirà nel contesto dell'Unione Europea: qui infatti essa potrebbe formare un fronte comune ultraconservatore con l'Ungheria che potrebbe assumere posizioni fortemente anti-immigrazione e ostacolare possibili accordi europei. Tralasciando il paradosso che si tratta di due paesi entrati nell'UE poco più di dieci anni (era il 2004) e che entrambi hanno dei trascorsi storici pieni di angherie subite dalle rispettive popolazioni nella prima metà del Novecento, le quali però evidentemente non hanno trasmesso particolari valori di tolleranza e accoglienza. Ma il punto tutto politico a mio avviso è un altro. Infatti potrebbe nascere una sorta di alleanza fra Polonia e Ungheria dentro all'UE, spostandone ulteriormente il baricentro in termini di xenofobia e divisioni sociali. E' qui che mi viene da chiedermi come agiranno i tecnocrati di Bruxelles e Strasburgo: provvederanno a ostacolarli provando de facto commissariare la democrazia (nonostante essa nei due paesi abbia preso una piega reazionaria) come fatto in ogni modo verso la Grecia di Tsipras da quasi un anno a questa parte? E come nella sostanza stanno facendo per il Portogallo? Oppure lasceranno i Governi polacchi e ungheresi agire liberamente adottando "due pesi e due misure"?
Non c'è bisogno di indugiare sugli innumerevoli ostacoli che sono stati messi sulla strada della Grecia negli ultimi dieci mesi, mentre è storia di questi giorni ad esempio che in Portogallo si sono create tutte le condizioni politiche per un governo fra socialisti, comunisti e verdi, ma il Presidente della Repubblica (freddo esecutore delle ricette liberiste UE) ha deciso di ignorare il fatto che alle recenti elezioni queste forze sono risultate maggioritarie ed ha invece preferito conferire l'incarico all'uscente Coelho che ha portato avanti politiche di austerity volute dalla Troika, venendo appunto punito dagli elettori, ma adesso pronto a formare un "governo di minoranza".
Sarà "curioso" vedere se le istituzioni europee avranno verso Ungheria e Polonia, che hanno svoltato decisamente a destra, la stessa reazione che sono pronte ad avere quando altri paesi svoltano bruscamente a sinistra. O se invece, e sarebbe estremamente grave, preferiranno "tollerare" governi ultraconservatori e razzisti che però non mettono in discussione gli assetti economici di fondo, riservando invece il proprio ostruzionismo solo verso quei governi progressisti e di sinistra che rischiano davvero di far "saltare il banco" realizzando una giustizia e un'equità sociale che al momento paiono essere incompatibili con le politiche dell'UE.

venerdì 9 ottobre 2015

La ricerca del "capro espiatorio" per nascondere che il problema è il "sistema"

Al di là di che cosa si pensi sul sindaco di Roma dimissionario Ignazio Marino, l'atteggiamento del PD che in queste ore si affretta in ogni modo a scaricarlo, come se tale partito non avesse mai avuto niente a che fare con lui, è il massimo dell'ipocrisia. Sarebbe persino divertente se tutto ciò non fosse grottesco. Ma dov'erano tutti i dirigenti del PD (romano e nazionale) in questi anni? E' fin troppo facile far fuori un individuo senza toccare il "sistema" marcio che c'è sotto, facendo finta che il problema fosse solo il Sindaco. Peraltro, diciamo la verità, si parla di una personalità che vive a Roma da pochi anni, essendo genovese di nascita ed avendo lavorato come medico negli USA, oltre che essere appunto una figura solo "prestata" alla politica. Molto probabilmente insomma non è mai stata la figura più indicata per fare il Sindaco della Capitale. Però Marino fino a quando ha "fatto comodo" è stato utilizzato dal PD nel 2013: alla ricerca di un'identità precisa e di una faccia "pulita" per sconfiggere il sindaco uscente Alemanno, venne convinto da una parte del suo partito a candidarsi alle Primarie. Fra l'altro non era neppure il favorito (c'erano almeno due altre personalità, Paolo Gentiloni e David Sassoli, probabilmente maggiormente gradite alla dirigenza del PD romano), ma lui riuscì a imporsi alla consultazione interna e poi a battere il sindaco uscente della destra alle elezioni. Una volta eletto come Primo Cittadino, al di là di vari errori personali (vedi la vicenda della Panda rossa e poi dei rimborsi) indubbiamente non giustificabili, sarebbe spettato al PD "fare quadrato" intorno a un Sindaco che non aveva certo l'esperienza per poter fronteggiare da solo le intemperie della politica romana. Ma di fatto invece ben presto è stato lasciato sostanzialmente solo e il suo partito, sia localmente che a livello nazionale, ha preferito passare al "tiro al piccione": un'attività che nelle prossime settimane vedremo aumentare sempre più. Fino appunto a far sembrare ai cittadini meno attenti che il PD con Marino non ci ha mai avuto niente a che fare e che "il problema era solo lui". Mentre lui al limite era solo la "punta dell'iceberg".

lunedì 17 agosto 2015

Chiudono gli uffici postali e privatizzano Poste Italiane: di chi è la colpa?

Nei giorni scorsi Poste Italiane ha confermato la propria decisione di chiudere numerosi uffici postali a partire dai primi di settembre. Già da diversi mesi è chiara la volontà di Poste di dismettere 59 sportelli in tutta la Toscana e fra essi ben 10 nella provincia di Pisa, che risulta essere quella più penalizzata dell'intera regione. In particolare si tratta di Treggiaia (comune di Pontedera), Legoli e Ghizzano (comune di Peccioli), Uliveto Terme e San Giovanni alla Vena (Vicopisano), Soiana (Terricciola), Marti (Montopoli), Corazzano (San Miniato), Castelmaggiore (Calci) e Luciana (Fauglia).
La conseguenza del venir meno di un servizio essenziale e "universale" come quello postale metterà in grossa difficoltà decine di migliaia di persone residenti nei paesi più piccoli, in particolare gli anziani e tutti coloro che sono impossibilitati a spostarsi verso paesi più grandi.
Questi disagi per il pubblico sono degli "effetti collaterali" di un complessivo disegno del Governo di rendere ancor più appetibile sul mercato un'azienda che eppure recentemente, per dieci anni consecutivi, ha chiuso i bilanci in utile e con profitti crescenti; una società che attualmente è interamente pubblica (il 100% delle azioni è in mano al Ministero dell'Economia) ma che nei prossimi mesi per scelta del Governo sarà privatizzata per almeno il 40%, nonostante sia evidente che per le casse pubbliche sarebbe di gran lunga più conveniente continuare a possedere un'azienda che nel solo 2013 ha avuto utili netti di 708 milioni di euro. In questo quadro assume dei toni paradossali il fatto che la Regione Toscana e i vari Sindaci del Partito Democratico in queste settimane stiano mettendo in piedi delle proteste, ovviamente giuste nel merito, quando il principale responsabile delle chiusure degli uffici è esclusivamente il Governo Renzi e quindi in primis proprio il PD di cui essi stessi fanno parte: un partito che nei territori si indigna per le chiusure, ma che a Roma lavora per svendere un patrimonio pubblico come le Poste fregandosene altamente dei disservizi arrecati alla collettività.
Credo che sia necessaria una mobilitazione dal basso da parte dei cittadini colpiti da queste decisioni, i quali hanno diritto di sapere chi sono i veri responsabili di scelte che peggioreranno concretamente le loro vite, in nome ancora una volta dei profitti privati. 

giovedì 23 luglio 2015

Velodromi che vanno, velodromi che vengono

Prendo spunto dalla notizia che prossimamente in provincia di Pisa potrebbe sorgere un nuovo velodromo, per fare una breve riflessione, premettendo che si tratta al momento solo di una voce e che non sarebbe ancora stato individuato il comune nel quale questa nuova struttura potrebbe sorgere.
Credo che sia doveroso ricordare il fatto che a Fornacette, nel comune di Calcinaia, fino al 2009, ovvero solo sei anni fa, esisteva un velodromo di livello nazionale: una struttura che nei decenni aveva ospitato campionati italiani e atleti di livello internazionale. Uno spazio che poi però dal 1993 rimase abbandonato, anche per la crisi del ciclismo su pista, fino alla decisione di abbatterlo per lasciare il posto ad abitazioni, peraltro ancora lontane dal nascere vista la crisi del mercato immobiliare, con la conseguenza che da anni l'area versa nell'incuria e nell'abbandono.
La riflessione che viene da fare, se confermata la voce sulla possibile nascita di un nuovo velodromo magari a pochi chilometri di distanza da quello abbattuto, è che saremmo di fronte all'ennesimo caso di irrazionalità e incapacità di pianificare uno sviluppo sostenibile del territorio sia da parte delle istituzioni politiche locali, sia da parte degli organi sportivi di livello nazionale (Federazione Ciclistica e CONI). Nel giro di pochi decenni infatti si è passati dalla decisione di ristrutturare il velodromo di Fornacette negli anni '70, poi a quella di abbandonarlo a se' stesso negli anni '90, in seguito a quella di abbatterlo negli anni Duemila, e infine oggi qualcuno pensa di ricostruirne uno poco distante? Ha senso permettere la completa distruzione di una struttura di migliaia di metri quadri, senza ipotizzare al limite nessun tipo di ristrutturazione, se l'idea a pochi anni di distanza fosse quella di creare uno spazio molto simile in un comune limitrofo? 
Credo che saremmo di fronte a un grande paradosso e all'ennesima dimostrazione dell'incapacità di prendere decisioni coerenti e durature da parte delle istituzioni italiane, che agiscono sempre più spesso con improvvisazione anziché con strategie di medio-lungo periodo. Considerando tutto questo, mi permetto di invitare il Comune eventualmente individuato per la nascita del nuovo velodromo a pretendere adeguate garanzie da parte delle istituzioni sportive competenti sulla reale intenzione di creare uno spazio che sia realmente utilizzato nel corso dei decenni e non si riduca a una delle tante grandi opere inutili che diventano spesso in pochi anni "cattedrali nel deserto". Lo consiglio inoltre di individuare un'area pubblica per la sua realizzazione, in modo che nessun privato possa trarre profitti da questa operazione o addirittura possa trovare il modo di speculare su un suo futuribile abbandono. Invito inoltre i suoi cittadini a vigilare attentamente affinché queste condizioni siano rispettate, in modo che il bene comune prevalga sugli interessi privati.

venerdì 26 giugno 2015

Illegalità e corruzione, le vere emergenze italiane

Le notizie di cronaca che si susseguono in queste settimane vanno tutte nella stessa direzione: la corruzione e il malaffare riguardano ormai tutti gli ambiti della vita economica e sociale del paese. Lo scandalo "mafia capitale" che vede gran parte dei partiti politici coinvolti in una gestione clientelare della città di Roma. Il calcio-scommesse e le partite truccate che vedono coinvolti sempre più calciatori e dirigenti sportivi. Il Mose, la TAV, i Mondiali di nuoto, la ricostruzione dopo il terremoto dell'Aquila, buchi nella sanità, l'accoglienza dei migranti: ormai ogni situazione diventa occasione di ruberie, tangenti e sotterfugi, con legami sempre troppo stretti fra imprenditori, faccendieri e politici collusi. Tutto questo ormai quasi non fa più nemmeno notizia all'interno di un paese che, anche secondo la classifica dell'ONG "Transparency International" di fine 2014, è quello con il più alto livello di percezione della corruzione in tutta Europa. Ormai l'opinione pubblica è quasi assuefatta da questa disonestà di massa e in molti, anche fra i comuni cittadini, hanno interiorizzato tutto questo come normale. Anzi, in diversi in fondo se potessero ne approfitterebbero volentieri. Ecco che siamo di fronte a una duplice sconfitta. La prima sul piano strettamente economico: si calcola che circa 60 miliardi di euro ogni anno in Italia vadano all'economia sommersa (una cifra pari al 3-4% del PIL, contro una media europea dell'1%), provocando ingenti perdite per le casse pubbliche e quindi in termini di servizi per i cittadini, oltre che distorcere l'economia legale. La seconda sconfitta è sul piano culturale, con appunto la disonestà che è vista sempre più come normale anche da parte delle giovani generazioni, inoltre si insinua sempre più spesso uno spirito di rassegnazione fra coloro che vorrebbero opporsi allo stato di cose presenti.
Insomma combattere la corruzione, il malaffare e la disonestà diffusa dovrebbe essere una delle priorità per questo paese, che soffre anche in termini di credibilità internazionale da questa sua propensione all'illegalità.

venerdì 19 giugno 2015

La radicalità necessaria per ricostruire una politica alternativa

In questo periodo di crisi, in cui le contraddizioni economiche dispiegano tutte le proprie conseguenze sulle popolazioni europee e non solo, in molti paesi è aumentata decisamente la radicalità politica ed elettorale. Gruppi e movimenti che si mettono in netta contrapposizione al "sistema" aumentano consensi ovunque. In diversi casi, purtroppo, sono le forze politiche di estrema destra a crescere in termini di consensi (Front National francese, Lega Nord in Italia, UKIP di Farage di Gran Bretagna, Jobbik in Ungheria), in altri invece sono le forze della sinistra alternativa a dare voce alla forte voglia di cambiamento contro le politiche di austerità (Syriza in Grecia, Podemos in Spagna e Sinn Fein in Irlanda sono addirittura maggioritari).
Anche in Italia ormai i partiti "anti-sistema" rappresentano una fetta consistente del pur volubile, e scarsamente consapevole, elettorato italiano. Sommando i voti (di per se' diversissimi) di Lega Nord e Movimento 5 Stelle, si nota che quasi il 40% dell'elettorato si affida a tali formazioni, con punte ancor più elevate tra i ceti popolari. Quelle stesse classi popolari che per decenni hanno guardato a sinistra, oggi cercano sponda in movimenti populisti. Ormai d'altronde in Italia il principale partito (almeno formalmente) di centrosinistra è da tempo il più grande sostenitore del rispetto ossequioso dei parametri di Maastricht, dei patti di stabilità, delle privatizzazioni dei beni comuni, dei soldi alle scuole private e della riduzione dei diritti del lavoro. Il consenso del PD, ancora piuttosto elevato, è dato dalla sommatoria di una fetta di elettorato "anziano" ancora convinto che si tratti di un partito di sinistra, con invece l'elettorato storicamente rappresentato prima dalla DC e poi da Berlusconi, ovvero i cosiddetti "moderati" dietro ai quali si celano spesso i "poteri forti"; essi finalmente hanno un Governo che fa le riforme liberiste senza troppo conflitto sociale, cosa che invece non era riuscita nell'epoca berlusconiana. In un quadro del genere chi pensasse di migliorare o spostare a sinistra questo PD sarebbe condannato al suicidio. Ed è quello che purtroppo la sinistra politica in questo paese ha fatto nell'ultimo decennio. Una sinistra minoritaria (con percentuali sempre nettamente al di sotto della doppia cifra) e spesso subalterna che si è illusa di poter condizionare le politiche dei democratici, per di più in un quadro di assenza di conflitto sociale. Quando partiti del 4 o 5% si alleano con soggetti del 35 o 40% come possono pensare di influire realmente nelle politiche concrete? Spesso, soprattutto nei territori locali, la necessità di conservare incarichi e quindi di sopravvivere ha prevalso sulla reale possibilità di incidere. Tutte scelte che però sono state frequentemente punite in termini elettorali. In questo quadro, oltre a una forte crescita dell'astensionismo, si è creato pure lo spazio politico per la nascita e diffusione del Movimento 5 Stelle, che anche dall'inefficacia della sinistra di governo ha tratto parte della sua forza (non è un caso se il primo V-day è avvenuto nel 2007, nel bel mezzo del Governo Prodi appoggiato dall'intera sinistra), riuscendo a incanalare la rabbia e la protesta di chi l'ha visto come l'unico strumento per opporsi al "sistema".

venerdì 5 giugno 2015

Dopo il voto, quale futuro per la sinistra?

Torno a scrivere su questo blog dopo le ultime intense settimane di campagna elettorale.
Ci sarebbe molto da dire sul risultato di queste elezioni Regionali, a partire dal grande astensionismo (pari in Toscana oltre alla metà degli elettori), fenomeno ampiamente percepibile anzitempo da chiunque abbia attraversato mercati, fatto volantinaggi e iniziative varie in diversi luoghi sociali (ospedali, stazioni, fabbriche): ennesimo segnale che la politica tradizionale ormai parla a un numero sempre minore di persone. E che servono soluzioni nuove per dare rappresentanza a una fetta sempre più ampia di persone che sta pagando il conto delle politiche messe in atto dai poteri forti, ma che non riesce ad avere speranza nei soggetti politici esistenti. Una fetta di chi vota si è affidata a partiti "anti-sistema" come la Lega Nord e il Movimento 5 Stelle, due soggetti ovviamente molto diversi fra loro, su cui sarebbe lungo soffermarsi in questa sede. Resta il fatto che la gran parte di chi vuole un'alternativa rispetto al PD (soggetto ormai sempre più lontano rispetto alle istanze sociali e anzi pienamente interno al sistema) difficilmente guarda a sinistra. Infatti la sinistra nell'immaginario collettivo è ancora incarnata dal PD, nonostante esso abbia dimostrato in ogni modo (dal Jobs Act alla "buona scuola") di non avere più niente a che fare con la sinistra. Per altri invece la sinistra è vista come il rimasuglio di partiti che non si sono ancora ripresi dalla batosta del 2008, a epilogo della fallimentare esperienza del Governo Prodi, e si sono da allora ulteriormente divisi, auto-condannandosi all'irrilevanza, dimostrata a queste elezioni dall'incapacità di eleggere consiglieri regionali fra le loro file. E' insomma abbastanza naturale che le persone interessate a una vera alternativa di sistema (alla Syriza o alla Podemos, tanto per intenderci) non votino candidati di partiti che al sistema sono stati interni a lungo e corresponsabili dei governi locali del PD; così come è prevedibile che non scelgano membri di partiti che hanno messo davanti a tutto l'orgoglio e i micro-interessi di bottega, subendo ripetute e sonore sconfitte. Insomma in pochi cercano una sponda in una sinistra a lungo prigioniera da un lato del governismo e dall'altro del settarismo
In un quadro nazionale pessimo, credo che sia da valutare come positivo il risultato di "Sì Toscana a sinistra" che con il 6,3% ha eletto due consiglieri regionali, entrambi senza tessera di partito. Una lista che ha saputo sintetizzare le esperienze partitiche con quelle nate dal basso. Da questo punto di vista è necessario registrare che i candidati espressione dei partiti, nonostante risorse militanti e materiali maggiori, non hanno ottenuto i risultati sperati. Dall'altro invece le candidature nate dal basso proposte da esperienze civiche e sociali significative hanno avuto ovunque molti voti, segno di un particolare radicamento sociale e di un lavoro capillare svolto per anni (e non solo nel mese pre-elettorale) nei rispettivi territori. E' da questo dato che occorre ripartire. I risultati ottenuti dimostrano che i partiti della sinistra attuale da soli non vanno da nessuna parte, non hanno più nessuna rendita di posizione da difendere e anzi parlano a una fetta sempre minore della società. Occorre invece a mio avviso che questi partiti escano dai rispettivi recinti e mettano a disposizione le proprie migliori energie militanti per la costruzione di qualcosa di più grande.

mercoledì 20 maggio 2015

Meno soldi pubblici alle Chiese e più risorse alle associazioni

Dopo un incontro avvenuto nei giorni scorsi con alcune associazioni culturali, di volontariato e ricreative, percepita la situazione di pesanti ristrettezze economiche in cui versano questi soggetti associativi che hanno un'importanza centrale nel tessuto sociale dei vari territori in cui operano, ho deciso di esplicitare una proposta concreta su cui è opportuno intervenire a livello regionale.
Si tratta della modifica della Legge Regionale n. 1 del 2005, una norma che con alcune piccole correzioni potrebbe andare a migliorare sensibilmente la situazione economica delle associazioni di volontariato e culturali di tutta la Toscana. In pratica allo stato attuale la norma prevede che ogni Comune possa decidere di destinare una parte dei proventi degli oneri di urbanizzazione secondaria alle associazioni ma anche agli enti religiosi. Nel dettaglio attualmente la legge regionale fissa inderogabilmente al 10% la quota degli oneri spettante agli Enti Religiosi (in sostanza alle Chiese, alle parrocchie e solo in alcuni casi ad altre confessioni), mentre è fissata al 9% la quota spettante alle associazioni.
La mia proposta è quella di annullare, o comunque di diminuire drasticamente, la quota spettante agli Enti Religiosi e al tempo stesso ovviamente di aumentare della stessa percentuale di quanto spettante alle associazioni. Si tratterebbe di una misura volta a raggiungere due obiettivi: da un lato si darebbe un messaggio di laicità delle istituzioni, togliendo risorse a enti confessionali che sono già favoriti da numerose normative nazionali (vedi l'esenzione dall'IMU e l'8 per mille) e finanziati da vari fedeli. Dall'altro lato sarebbe un giusto riconoscimento in favore delle associazioni per gli importanti ruoli che ricoprono nel migliorare la vita sociale dei nostri territori e che, con questa modifica normativa, avrebbero molte risorse finanziarie in più, a parità di costi per le casse pubbliche.

mercoledì 13 maggio 2015

FI-PI-LI a pagamento? Più costi per i cittadini, più profitti privati e più traffico nei centri abitati. No, grazie

Negli ultimi mesi, forse anche per l'avvicinarsi delle elezioni regionali, nessuno ne parla più, ma negli anni scorsi è stata più volte avanzata da parte della Regione Toscana l'ipotesi di rendere a pagamento la percorrenza della "Superstrada FI-PI-LI". Il tutto non è rimasto solo una voce giornalistica, dal momento che la Regione nell'agosto 2013 ha anche stanziato 300 mila euro per avviare uno studio di fattibilità per la possibile introduzione del pedaggio sulla strada che collega Firenze a Pisa e Livorno, venendo percorsa ogni giorno da decine di migliaia di automobilisti. Contro tale possibilità dal 2011 erano stati creati anche dei comitati di protesta di cittadini e pure un gruppo Facebook con oltre 7000 aderenti, anche se nell'ultimo anno e mezzo l'attenzione dell'opinione pubblica su questo argomento si è abbassata.L'ipotesi che la FI-PI-LI diventi a pagamento sarebbe fortemente sbagliata per vari motivi. Intanto perchè sarebbe un costo in più per i cittadini, in gran parte lavoratori costretti a percorrere la strada ogni giorno per raggiungere i rispettivi luoghi di lavoro: una mini-tassa uguale per tutti, a prescindere dal reddito e dalle condizioni economiche, che quindi sarebbe ancor più ingiusta. Analoghi svantaggi ci sarebbero anche per le aziende di trasportatori, che avrebbero degli aggravi economici di non poco conto.Inoltre come avvenuto nel resto d'Italia nella totalità delle "tangenziali" diventate a pagamento, la gestione passerebbe in mano con ogni probabilità ad una società privata: gli utili derivanti dal pedaggio diventerebbero insomma una nuova fonte di profitto per un singolo privato monopolista che non avrebbe certo come principale obiettivo la qualità della viabilità e gli interessi della collettività.Infine occorre mettere in guardia dal fatto che, vista anche la fase di crisi economica che stiamo attraversando, in molti cittadini, automobilisti ma anche trasportatori, legittimamente potrebbero decidere di non utilizzare più una FI-PI-LI a pagamento, ma di optare per le strade urbane limitrofe. Ad esempio per vari comuni della provincia di Pisa si rischierebbe di tornare alla situazione pre-1990, quando la SS. 67 Tosco-Romagnola era iper-trafficata, paralizzando per diverse ore al giorno (in particolare nei weekend) interi paesi nei territori comunali di San Miniato, Montopoli, Pontedera, Calcinaia, Cascina e Pisa. Insomma il rischio di far peggiorare la qualità della vita, con più auto e più camion nei centri abitati delle province interessate, sarebbe davvero concreto.E' per tutti questi motivi che, sebbene non sia un argomento di campagna elettorale, penso che i vari candidati e partiti, debbano pronunciare già in questa fase delle parole chiare affinché nei prossimi anni non si introduca il pedaggio in FI-PI-LI. Piuttosto che si trovino le risorse per mettere in sicurezza il manto stradale di quella che è una delle principali arterie toscane, anziché investire in grandi opere inutili alla massa dei cittadini.

venerdì 8 maggio 2015

Piaggio: delocalizzazioni, profitti privati e costi pubblici. E i lavoratori?

La Piaggio è la principale azienda privata della Toscana, con suoi quasi 3000 dipendenti nello stabilimento di Pontedera e altrettanti nelle ditte dell'indotto dislocato in vari comuni della Valdera e della provincia di Pisa, la presenza della fabbrica della Vespa è fondamentale nell'economia di tutto il nostro territorio. 
Un'azienda che nonostante le difficoltà del mercato delle "due ruote" sta continuando a produrre utili e che negli 5 anni ha distribuito tra i suoi soci profitti per ben 114 milioni di euro. Purtroppo nonostante questo negli ultimi anni le condizioni materiali di vita dei lavoratori dell'azienda pontederese sono in costante peggioramento, senza che le istituzioni locali e regionali si siano mosse concretamente in loro difesa. Le aziende dell'indotto ricevono sempre minori commesse, a causa della sempre più diffusa pratica di Piaggio di acquistare la componentistica in Cina e in India: ormai circa l'80% dei materiali usati arriva da questi paesi e sempre più spesso di rivela di qualità inferiore rispetto a quelli prodotti nelle aziende del territorio, le quali entrano così in una spirale di crisi e tagli al personale. Nel 2012 lo stesso presidente Rossi si recò fieramente in Vietnam assieme a Colaninno per inaugurare uno stabilimento Piaggio, vantandosi di esportare un marchio toscano all'estero, senza però dire che si trattava dell'ennesima delocalizzazione fatta sulla spalle dei lavoratori italiani, per puntare sulla convenienza dei bassi salari degli operai dei paesi esteri. Tutto ciò d'altronde è purtroppo "coerente" con il peggioramento delle condizioni dei lavoratori di Piaggio a Pontedera, i quali da un punto di vista economico hanno un arretrato di tre anni per i premi di produttività e di quattro anni per l'integrativo aziendale e fra i quali è sempre più alto il numero di precari e part time verticali. Il tutto a fronte di ritmi di lavoro sempre più incalzanti, legati anche a una sempre più alta stagionalizzazione del lavoro. Ormai è infatti risaputo che di fatto in Piaggio si lavora da marzo a settembre, mentre nei restanti sei mesi si ricorre molto spesso a "contratti di solidarietà" e a Cassa Integrazione, facendo ricadere sulle casse pubbliche la mancata volontà aziendale di programmare la produzione in modo più coerente e sostenibile. Insomma la vecchia ricetta di "privatizzazione degli utili e socializzazione delle perdite", che penalizza sia i lavoratori che i contribuenti in generale, per favorire solo i profitti privati.

martedì 5 maggio 2015

Le mie 10 proposte concrete per la provincia di Pisa e la Toscana

Nei giorni scorsi avevo elencato i valori e le idee di fondo che mi hanno spinto a candidarmi alle elezioni regionali del 31 maggio per la lista "Sì - Toscana a Sinistra" nella circoscrizione provinciale di Pisa. Oggi credo che sia necessario entrare maggiormente nel dettaglio di quali sono le mie proposte concrete per la provincia di Pisa, per la Valdera in cui abito, ma in generale per migliorare le condizioni dei cittadini dell'intera Toscana. Ecco un decalogo di questioni sulle quali, se eletto, mi impegnerò particolarmente.
1. Sì alla difesa dei diritti del lavoro e dell'occupazione, in particolare in Valdera occorre fare attenzione al "mondo Piaggio" ovvero all'industria di Pontedera (la principale azienda privata toscana) e alle decine di piccole imprese dell'indotto situate nei comuni limitrofi che danno lavoro a migliaia di persone nel nostro territorio. Un mondo a cui sono particolarmente legato, avendo mio padre lavorato per trent'anni in Piaggio come operaio. Occorre che la Regione e le istituzioni locali si impongano con maggior forza rispetto alle scelte aziendali di Piaggio, sempre più volte alle delocalizzazione del lavoro all'estero e alla compressione dei diritti di chi lavora in Italia. Per un reddito minimo a favore di giovani e precari in genere.
2. Sì all'acqua pubblica. Chi come me fa parte da anni del Forum Acqua può affermare che le istituzioni locali hanno tradito la volontà dei cittadini, i quali nel 2011 con un referendum si espressero a favore della gestione pubblica e partecipata dell'acqua. La nostra Toscana farà il possibile affinché i vari comuni, proprietari delle quote aziendali delle società idriche, non procedano a ulteriori privatizzazioni ed anzi portino all'attuazione dei referendum, con il relativo abbassamento delle bollette.
3. Sì alla difesa della sanità pubblica; per l'accorciamento delle liste d'attesa e a favore di una maggiore progressività nei ticket con soglie di esenzione più alte per anziani e meno abbienti. Meno soldi ai manager delle ASL, più servizi ai cittadini.
4. Sì alla difesa del Trasporto Pubblico Locale e della mobilità ferroviaria dei pendolari, messi a repentaglio dai tagli verticali fatti a livello regionale e nazionale. Contro la fusione delle società aeroportuali di Pisa e Firenze, che penalizza entrambe le realtà cittadine, ha costi altissimi per la collettività a favorisce solo i profitti dei privati.
5. Sì all'adeguamento e messa in sicurezza della superstrada FI-PI-LI senza che venga trasformata in una strada a pagamento, come da ormai molti anni qualcuno in Regione ha in mente, con studi di fattibilità in tal senso che potrebbero partire dopo le elezioni. Sì a una rete efficiente di piste ciclabili affinché cittadini e turisti possano fruire della bellezze del nostro territorio in sicurezza a tranquillità. 
6. Sì alla revisione del piano dei rifiuti, prevedendo di attuare veramente la strategia “Rifiuti Zero” in tutta la Toscana, contro la scelta di costruire nuovi inceneritori dannosi per la salute. Solo negli ultimi 9 anni ci sono stati ben due tentativi di aprire un inceneritore in Valdera, ipotesi scellerata fermata solo dalla mobilitazione dal basso dei cittadini.
7. Sì a più scuola pubblica. Con maggiori investimenti a favore degli asili e della creazione di più "classi Pegaso" per aiutare i comuni che non ce la fanno a garantire la copertura del servizio per tutte le famiglie. Stop ai finanziamenti per le scuole private, già lautamente aiutate da fondi nazionali e locali.
8. Sì al mantenimento dei vari servizi nei piccoli centri più disagiati, come i presidi sanitari, gli uffici postali e le corse degli autobus. 
9. Sì alla difesa delle piccole imprese, contro la possibile approvazione di nuovi trattati internazionali (TTIP) che metterebbero a repentaglio le specificità ed eccellenze artigianali e agricole locali per favorire solo le multinazionali.
10. Sì ai diritti civili e alla laicità, per combattere ogni tipo di discriminazione legata all'orientamento sessuale. A favore della creazione in ogni comune toscano di un Registro delle Unioni Civili e di un Registro delle Dichiarazioni Anticipate dei Trattamenti (testamento biologico). 

giovedì 30 aprile 2015

I perché della mia candidatura...

Da ieri è ufficiale la mia candidatura alle Elezioni regionali toscane del 31 maggio, sarà possibile votarmi in tutta la provincia di Pisa all'interno della lista "Sì - Toscana a sinistra".
Perché ho preso questa decisione? Cosa ha spinto un 29enne esterno ai partiti di mettersi in gioco? Intanto perchè credo sia giunto il momento di mettere a disposizione di una comunità più ampia l'esperienza maturata a lungo nel comune di Calcinaia, impegnandomi per costruire un territorio solidale e accogliente, per il lavoro, la sanità, la scuola, il trasporto e l'acqua pubblica, la difesa dell'ambiente e i diritti civili. La mia scommessa è però anche quella di provare, in piccolo, a sperimentare un nuovo modo di fare politica, nella convinzione che c'è uno spazio per contribuire al bene comune anche al di fuori dai partiti tradizionali. I quali anzi oggi sono al loro minimo storico di credibilità fra i cittadini. Per questo oggi dico: "Io non sono un politico" ma solo un attivista che vuol mettersi a disposizione per cambiare le cose assieme ad altre e altri.
Farò una campagna elettorale "low cost", sia perché non ho nessun gruppo politico nazionale alle spalle che mi finanzi, sia perchè credo che sia immorale spendere migliaia di euro nelle campagne elettorali in un momento di così devastante crisi economica. Mi chiedo, ha senso che un consigliere regionale percepisca un reddito mensile di circa 8000 euro nette quando invece la maggioranza dei cittadini fatica ad arrivare a fine mese? Come può un "eletto" rappresentare davvero i propri concittadini quando vive delle condizioni materiali ed economiche così agiate rispetto al resto delle persone comuni? Credo che sia urgente opporsi anche a questi privilegi di pochi per aumentare invece i diritti di molti. Serve insomma lottare dal basso contro l'alto, in politica ma anche ogni giorno nella società. 
Se dovessi spiegare la politica a un bambino gli direi: la destra è quella cosa con la quale i potenti provano a dividere i poveri affinché si facciano la guerra fra loro senza disturbare chi sta in alto; la sinistra invece è quella cosa che prova a unire tutti i deboli per aumentare i propri diritti contro le ingiustizie portate avanti dei pochi ricchi.

martedì 28 aprile 2015

Bufale sul web ed egemonia culturale

Internet è ormai diventato un potentissimo mezzo di informazione ma anche al tempo stesso di disinformazione. Centinaia di siti web, in gran parte che pretenderebbero anche di essere considerati "giornali", sono creati ad arte per diffondere notizie false, tendenziose o nelle quale si prova a distorcere parte della realtà. Si pensi alla leggenda che gli immigrati sarebbero dei privilegiati che vivono con 50 euro al giorno in hotel di lusso. Una frottola, che però ormai nell'immaginario collettivo è diventata "vera". Lo stesso Facebook è utilissimo a chi vuol diffondere contenuti che esprimono odio, rabbia e intolleranza. Chi vuol fomentare questi sentimenti si è organizzato molto bene, con la creazione di numerose pagine che lanciano messaggi più o meno razzisti e populisti. Il tutto per strumentalizzarlo poi a livello politico-elettorale al momento giusto. Ormai sono migliaia se non milioni le persone (spesso anche adulte, delusi magari dalla politica e dagli ideali o in alcuni casi "analfabeti di ritorno") che si lasciano abbindolare e finiscono col credere praticamente a qualsiasi cosa, "condividendo" e rendendo anche involontariamente virali certe campagne mediatiche. D'altronde a forza di ripeterla ossessivamente una cosa diventa vera anche se in realtà non lo è. Anche perché i messaggi d'odio si basano sulla semplicità del contenuto e sull'irrazionalità che stuzzicano nella mente del lettore. 

venerdì 24 aprile 2015

70 anni dopo la Resistenza continua...

Questo 25 aprile è il 70° anniversario della Liberazione dell'Italia dal nazifascismo. Una data fondamentale nella storia del nostro paese, che però troppo spesso viene celebrata da alcuni ambienti istituzionali come una mera ricorrenza ai limiti della retorica. Se ricordare quanto accaduto nel Ventennio più buio della storia italiana, è indubbiamente necessario, spesso si rivela non sufficiente. Anche perché le politiche messe concretamente in campo a livello italiano ed europeo sono portatrici di nuove divisioni sociali, crisi e povertà, sulle quali le forze politiche di estrema destra soffiano quotidianamente facendo il classico becero populismo di chi vuole costruire una società basata sull’egoismo e sulla paura. Al giorno d’oggi però non c'è nulla di più vicino al fascismo come il razzismo e quindi che non c'è nulla di più resistente che la lotta contro di esso.  Insomma, qui e ora, c’è ancora tanto bisogno di “Resistenza” per ricostruire anche sul piano culturale, prima che politico, un patrimonio di valori che unisca davvero questo paese, affinché dopo 70 anni l'antifascismo sia un sentimento realmente condiviso anche dalle nuove generazioni. Per evitare rigurgiti fascisti che puntano solo a dividere i più deboli, occorre però anche un serio lavoro nel sociale, per far capire a tutti i precari, i lavoratori, i disoccupati, i migranti, gli studenti e i pensionati che siamo tutti dalla "stessa parte". Tutti oppressi da un sistema economico che impoverisce ogni giorno di più la grande maggioranza delle persone, per arricchire invece i soliti noti che si spartiscono profitti e rendite finanziarie sempre più alte. Anche in questa direzione occorre lavorare seriamente ogni giorno.

mercoledì 22 aprile 2015

Italicum, una legge elettorale autoritaria

In questi ultimi giorni si parla molto della riforma elettorale in discussione in Parlamento. In questo articolo vorrei spiegare che cosa cambia sul piano normativo nella modalità di elezione dei deputati con il cosiddetto Italicum, ma prima voglio soffermarmi sul metodo con cui questa legge sta per essere approvata. La riforma elettorale per antonomasia disegna le "regole del gioco" e su queste servirebbe il massimo accordo e consenso della maggior parte delle forze politiche. In questo caso invece tutte le opposizioni sono contrarie (cosa successa, a dire il vero, anche al momento dell'approvazione del Porcellum nel 2005). Ma in questo caso sta succedendo qualcosa di ancora più singolare: infatti anche una fetta importante dello stesso partito di Governo esprime grosse criticità e potrebbe non votare a favore. Cosa risponde la maggioranza? Rimuove i 10 membri della commissione Affari Costituzionali espressione della minoranza, che potrebbero ostacolare la riforma, per sostituirli con altri deputati più docili e obbedienti. Insomma c'è la repressione del dissenso, che denota un'atteggiamento autoritario da parte di chi a parole si autoproclama "democratico". Un fatto del genere è il paradigma di come questo Governo intende la democrazia, sia interna, che evidentemente più in generale. L'ultimo atto in tal senso potrebbe essere l'apposizione della "questione di fiducia" da parte del Governo sulla legge: un fatto che sarebbe clamoroso sul piano istituzionale dal momento che, da un punto di vista formale non spetta al Governo varare le leggi elettorali ma appunto al Parlamento. Tutto ciò in parte è un significativo antipasto di come certi partiti agiranno se e quando questa legge elettorale sarà in vigore. Con questo entriamo nel merito della riforma. E' previsto che nei 100 collegi i partiti eleggeranno automaticamente il loro capolista, il cui nome è "bloccato" e deciso quindi dal partito (solo a partire dal secondo eletto funzioneranno le preferenze, due, una per ciascun genere); a questo si aggiunga che ci sono le candidature plurime: i capilista potranno candidarsi fino in dieci collegi. Insomma per gli elettori sarà pressoché impossibile scegliere davvero un candidato che non sia voluto dai partiti. Altra novità, sarà la fine del sistema basato sulle coalizioni a cui siamo abituati negli ultimi anni, infatti sarà la lista che arriva prima a ottenere la maggioranza assoluta dei seggi (al primo o al secondo turno) e a governare da sola. Se al primo turno la lista più votata supera il 40%, ottiene subito 340 seggi, ovvero la maggioranza assoluta. Se come prevedibile però nessuna lista dovesse raggiungere tale quota, si andrà al ballottaggio tra i due partiti più votati e chi vince conquista il ugualmente 340 seggi. Questa modalità sarebbe un unicum in tutto il mondo: non esiste infatti nessun altro sistema elettorale che preveda il doppio turno basato sulle liste per determinare una maggioranza parlamentare. Si profila quindi un sistema iper-maggioritario che consegnerà un potere eccessivo a una "maggioranza" che avrà in realtà dalla sua parte meno della metà degli elettori. Il Premier che uscirà da questo sistema sarà il padrone assoluto del parlamento, avendo un solo partito (il suo) a fargli da maggioranza parlamentare.

lunedì 20 aprile 2015

Tragedia del mare, vergogna europea

Sono purtroppo costretto a scrivere anche in questo spazio sulla grave tragedia del mare avvenuta ieri, nella quale circa 700 persone (ma secondo fonti più recenti forse oltre 900) hanno perso la vita nel disperato tentativo di lasciare la Libia, ormai in preda alla guerra civile, per dirigersi verso non tanto l'Italia ma più in generale verso l'Europa e quindi verso la speranza di una vita diversa.
In queste ore si moltiplicano le espressioni di cordoglio ma anche molte strumentalizzazioni da parte di una certa politica che mostra un'insensibilità fuori dal comune. Intanto va precisato che questi viaggi della disperazione non sono da confondere con la normale immigrazione. Infatti chi parte in questo momento da luoghi devastati dalla guerriglia e dal fondamentalismo lo fa per disperazione e perché in gran parte dei casi è perseguitato. Restare significherebbe morte certa, partire può almeno essere una possibilità di salvezza. Quindi al contrario di cosa vorrebbero farci credere i politici razzisti nostrani, i profughi umanitari non vogliono venire in Italia perché questo paese "fa entrare tutti indiscriminatamente" o perché "garantisce privilegi ai migranti". Anzi molto probabilmente queste persone se potessero scegliere non verrebbero mai in Italia, che coi suoi mille problemi interni e con una continua emorragia di giovani nostrani che si trasferiscono all'estero, non è certo una meta ambita da chi potesse davvero scegliere liberamente e razionalmente dove trasferirsi per un insediamento stabile. L'Italia ha invece solo la coincidenza geografica di essere una penisola a forma di stivale che si prolunga nel Mediterraneo fino a poche centinaia di chilometri dai paesi del Maghreb e rappresenta quindi una tappa obbligata per approdare in Europa. Ma a dire la verità qualsiasi migrante se potesse scegliere una destinazione finale opterebbe per altri paesi nord-europei. 
Ecco che quindi l'intera Unione Europea deve farsi carico di una situazione umanitaria che avviene ai suoi confini e che in parte ha contribuito a creare. Dal momento che le responsabilità dei vari stati europei sulla situazione africana e mediorientale sono evidenti, non solo per quanto avvenuto nell'epoca coloniale ma pure per scelte ben precise di politica estera e commerciale degli ultimi anni, anche da parte di Governi attualmente in carica. E' quindi vergognoso che in un quadro del genere l'UE si rinchiuda come una "fortezza" inespugnabile disinteressata a cosa avviene alle sue porte.

venerdì 17 aprile 2015

Che cosa è il TTIP? E perché va fermato?

Alla viglia della giornata di mobilitazione europea contro il TTIP vorrei spiegare per quali motivi secondo me è opportuno opporsi a questo trattato. Intanto vediamo di che cosa si tratta: il TTIP è un trattato di liberalizzazione commerciale fatto con l’obiettivo di abbattere dazi e dogane tra Europa e Stati Uniti rendendo il commercio fra essi più semplice. Apparentemente può sembrare quasi un elemento positivo, ma così non è: si creerebbe infatti un mercato privilegiato fra Europa e USA le cui regole non verranno più determinate dai nostri Governi eletti "democraticamente", ma saranno decise invece da organismi tecnici sovranazionali che risponderanno prevalentemente alle esigenze delle grandi multinazionali.
In poche parole saranno stabiliti degli standard da rispettare che ad esempio penalizzerebbero le piccole aziende, magari specializzate in prodotti tipici e di qualità, le quali non avrebbero la possibilità economica di uniformarsi alle regole decide a tavolino dalle grandi lobby.
Al contrario saranno ovviamente tutelate e favorite le multinazionali, che avranno anche degli organismi tecnici pronte a difenderle: un meccanismo di protezione degli investimenti (Investor-State Dispute Settlement – ISDS) consentirebbe alle imprese europee o USA di citare in giudizio i governi qualora introducessero normative, anche positive per i propri cittadini, che però ledono i loro interessi. In pratica le grandi aziende citerebbero gli Stati in tribunale, ma queste cause non sarebbero giudicate dalla giustizia ordinaria (cosa già possibile oggi), ma invece da un insieme di giuristi che giudicherebbero solo sulla base del trattato stesso se uno Stato, magari introducendo una regola a salvaguardia del clima o della salute, sta creando un danno a un’impresa. Se venisse trovato colpevole, quello stato, regione o comune, potrebbe essere costretto a ritirare il provvedimento o a indennizzare l’impresa, con costi elevatissimi per la comunità.
Il rischio economico è poi anche quello di ritrovarci invasi da prodotti USA a prezzi stracciati che porterebbero danni all'economia e all'occupazione, molto più ingenti dei presunti guadagni. Così come la possibilità che per uniformarsi agli standard economici previsti dal trattato, le aziende prendano la palla al balzo per ridurre ulteriormente diritti e stipendi di chi lavora.

mercoledì 15 aprile 2015

Il liberismo ha fallito. Come usciamo dalla crisi?

Negli ultimi anni è sempre più evidente all'opinione pubblica che il liberismo ha fallito. Disoccupazione, precarietà, tagli ai servizi sociali e devastazioni ambientali sono solo le più lampanti dimostrazioni che il mercato lasciato libero a se' stesso senza nessun controllo pubblico, produce ingiustizie e disuguaglianze
Questo è sotto agli occhi di tutti, eppure le istituzioni (nazionali ed europee) spingono sempre più verso l'ulteriore privatizzazione di servizi da sempre gestiti dal settore pubblico: dalla sanità, ai trasporti, dall'acqua alle Poste. Le motivazioni sono sempre le stesse: aumentare gli introiti per ridurre il debito pubblico, usando inoltre come giustificazione le inefficienze di questi stessi settori. Anche se spesso si tratta di sprechi e inadeguatezze alimentate ad arte al fine di avere un alibi per mettere in mano ai privati e sottoporre al mercato i settori principali dell'economia nazionale.
Io penso che al contrario in un quadro di crisi economica profonda come quello attuale servirebbe più programmazione economica da parte delle autorità pubbliche, per uscire da questa spirale di recessione e sottrazione di diritti. Occorrerebbe in pratica una strategia a medio-lungo termine in grado di definire che cosa serve davvero per il benessere dei cittadini. Occorre ad esempio un serio ragionamento sul settore energetico, per mettere davvero al centro le energie alternative rispetto ai combustibili fossili, al fine anche di ridurre l'inquinamento e le emissioni. Serve un piano coerente di salvaguardia del territorio, con piccole opere e infrastrutture necessarie contro il dissesto idro-geologico, anziché puntare su grandi opere impattanti per l'ambiente. Servono più investimenti nella ricerca, anche al fine di innovare la produzione industriale, magari per decidere davvero che cosa socialmente è necessario produrre, anche per evitare di consumare risorse naturali al fine di trasformarle in prodotti che non vengono poi acquistati o utilizzati. Serve trovare il modo di "lavorare meno per lavorare tutti" e di far corrispondere ciò all'aumento del potere d'acquisto dei lavoratori, in modo che tutti possano vivere dignitosamente. Serve che anche il settore bancario sia maggiormente sotto il controllo pubblico, per evitare che il sistema creditizio si rivolga allo stato solo quando c'è da ripianare le perdite, ma invece che esso svolga davvero un ruolo proficuo per i privati e le piccole imprese. Così come occorre limitare la finanziarizzazione e le speculazioni, che ormai finiscono per avere un ruolo preponderante sull'economia reale e quindi sui bisogni delle persone.

lunedì 13 aprile 2015

Sparate elettorali e "memoria corta". Serve un'alternativa...

Come accade ormai puntualmente ogni campagna elettorale diventa una gara a chi la spara più grossa, e anche stavolta quando mancano meno di 50 giorni alle elezioni regionali e i vari partiti stanno dando il peggio di se'.
Il Governo sostiene di aver improvvisamente trovato un "tesoretto" da 1,6 miliardi di Euro. Al di là del dibattito su come impiegarlo, andrebbe capito come mai è stato "scoperto" proprio adesso e domandarsi se davvero si tratta di una scoperta o piuttosto di una volontà politica di reperire fondi da restituire a una parte dei cittadini proprio alla vigilia delle elezioni. Inoltre va detto che si tratta di una somma che scaturisce da delle "previsioni" sul rapporto deficit/PIL e su quello debito/PIL dell'anno 2015: previsioni che molto spesso in passato si sono rivelate sbagliate. E che insomma lasciano quantomeno sospettare che si tratti dell'ennesima mossa elettorale. Nella quale parte dei cittadini purtroppo crede, come in passato ha creduto alla promessa di abolire l'ICI prima e restituire l'IMU dopo, da parte di chi pochi anni prima aveva contribuito a introdurle. Dall'altra parte dello scacchiere politico imperversa con sempre maggiore demagogia la polemica, anch'essa puntualmente acuita con l'avvicinarsi delle elezioni, dei populisti in camicia verde contro i presunti privilegi degli immigrati e sulla necessità di abbattere i campi Rom. Per smontare questi propositi basta ricordare che tale partito ha già governato per nove anni (dirigendo addirittura il ministero degli Interni) ed evidentemente non ha risolto nessuno dei "problemi" e degli spauracchi che adesso agita con tanta forza. E nessun interesse ha a farlo, dal momento che viene da chiedersi, come farebbero a prendere voti se davvero all'improvviso tutti i migranti decidessero di "tornare a casa propria". Anche in questo caso purtroppo, parte dei cittadini, sembra credere ancora a queste facilonerie razziste, perché purtroppo la "memoria corta" è uno dei principali difetti degli italiani.

venerdì 10 aprile 2015

Acqua pubblica ancora sotto attacco, serve una nuova mobilitazione

Sul tema dell'acqua pubblica è stato detto e scritto molto negli ultimi anni.
Nel 2011 si è svolto un referendum popolare, il primo che abbia raggiunto il quorum negli ultimi venti anni, a cui hanno partecipato 27 milioni di cittadini, esso aveva due obiettivi. Da un lato quello di abrogare la Legge Ronchi che imponeva la totale privatizzazione del servizio idrico a partire dall'anno successivo. Dall'altro lato quello di abrogare la "remunerazione del capitale investito", vale a dire il profitto garantito a favore delle aziende idriche, tratto direttamente dalle bollette degli utenti. Nel corso di questi questi quattro anni passati dal Referendum, in particolare sul secondo quesito vi è stato un sostanziale tradimento della volontà popolare, dal momento che i soggetti preposti ad abrogare materialmente la remunerazione del capitale investito, ovvero i Sindaci riuniti negli ATO, hanno deciso pressoché in tutta Italia di non procedere in tal senso. Con la conseguenza che le bollette pagate in questi anni sono state più elevate rispetto a quanto sarebbe stato previsto dall'esito referendario. Contro a questa decisione fra il 2012 e il 2013 numerosi cittadini hanno attuato una "Campagna di Obbedienza Civile", ovvero autoriducendo le proprie bollette delle percentuali illegittime. Purtroppo anche in tale circostanza le aziende idriche hanno trattato questi cittadini come “morosi” qualsiasi e in alcuni casi sono arrivate perfino a distaccare le utenze, nel silenzio complice delle istituzioni.
Non sazi di tutto questo però i "padroni dell'acqua" stanno portando avanti dei nuovi attacchi alla gestione pubblica di questo servizio essenziale.

martedì 7 aprile 2015

Correnti, trasformismo e leaderismo: ecco cosa non va nei partiti... e quello che invece servirebbe

In questo post torno a riflettere sui partiti politici e sulla crisi che stanno attraversando. Lo faccio con una riflessione generale, che riguarda un po' tutte le formazioni politiche, senza parlare di una in particolare, perché in fondo (senza con ciò voler generalizzare) molte caratteristiche elencate di seguito le accomunano un po' tutte.
E' sempre più diffusa l'idea che nella politica italiana degli ultimi anni l'alternativa fra cui scegliere sia solamente fra personaggi competenti ma disonesti, oppure invece soggetti magari onesti ma oggettivamente poco preparati. Eppure bisognerebbe riflettere sul fatto che ci sono numerose persone oneste, competenti e con passione, che danno il proprio contributo al miglioramento della società in diversi modi, ma che nella situazione attuale non hanno nessuna intenzione di entrare in un partito, nonostante magari ne condividano gli ideali di fondo. I motivi? Forse perché spesso i partiti sono sempre più luoghi di faide e divisioni interne. E forse perché l'eccessiva personalizzazione e il leaderismo scoraggiano il semplice cittadino che vuole impegnarsi in prima persona.  Proviamo ad addentrarci in questi fenomeni.
Riguardo al proliferare di correnti interne ai vari partiti penso, senza banalizzare la giusta dialettica interna a ogni organizzazione, che se gran parte delle energie complessivamente spese dagli attivisti nella battaglia interna fra mozioni ed aree congressuali, fossero impiegate anche solo per la metà nella presenza pubblica esterna (volantinaggi ai mercati o porta a porta, oltre che nel radicamento sociale) ogni partito avrebbe molta più visibilità e anche i militanti stessi molta più autostima e gratificazioni. Questo ovviamente è valido per i semplici attivisti di base, perché invece guardando ai vertici sembra proprio che essi sguazzino a meraviglia in una situazione nella quale il "politicismo" prevale sulla politica vera. Lo dimostra lo studio diramato nei giorni scorsi che evidenzia come nella Legislatura in corso, ovvero in soli due anni, ben 250 parlamentari italiani su 945 abbiano cambiato casacca o gruppo politico, e in alcuni casi anche più di una volta. Segno che nella politica dei palazzi il "trasformismo", fenomeno nato a fine Ottocento, non è mai tramontato ed anzi in questi ultimi anni ha avuto un'accelerazione spaventosa, soprattutto con il venir meno delle ideologie e quindi con il prevalere invece degli interessi personali.
E a proposito di personalismo: l'Italia si conferma il paese in cui questo fenomeno è più alto a livello europeo. Un esempio concreto? Il fatto che nei simboli elettorali della maggioranza delle liste compare il nome del leader (sia esso il segretario nazionale o un semplice candidato sindaco): negli altri paesi tutto ciò sarebbe impensabile. In Italia invece dei partiti deboli e privi di radicamento sociale generano il mostro del "leaderismo" e infatti finiscono con il puntare quasi esclusivamente sul carisma del proprio "capo".

venerdì 3 aprile 2015

Perché c'è così tanta aggressività sui social network?

Con questo post voglio avventurarmi su un argomento poco dibattuto che però mi fa riflettere ogni volta che una discussione nata su un social network prende una piega polemica esasperata, in cui i vari interlocutori usano dei toni sempre più aggressivi e maleducati. Questo tipo di situazione si verifica sia fra soggetti che non si conoscono tra loro nella vita reale, e in questo caso il tutto assume dei contorni ancora più paradossali, sia invece fra persone che si conoscono bene e che quindi usano fra le argomentazioni anche degli sgradevoli aneddoti personali che li riguardano da vicino, mettendo di fatto in piazza questioni private. Complessivamente sembra proprio che stare dietro ad uno schermo renda la maggior parte delle persone più spavalde, arroganti e senza freni inibitori, quasi come se agissero da anonimi, mentre così in realtà non è e quindi le inimicizie nate sul web talvolta si trascinano anche fuori.
Inoltre i social network, e Facebook in particolare, sono la principale vetrina sul mondo che la maggior parte delle persone ha. Il profilo personale di ognuno è in fondo una specie di "biglietto da visita" e in molti lo sanno, vista la grande attenzione che ciascuno impiega nel pubblicare ad esempio selfie o foto di se' in situazioni "positive". E allora perché molte di quelle stesse persone usano il medesimo strumento anche per esibirsi con toni verbali aggressivi, violenti e che trasmettono in gran parte dei casi molta tristezza?
Io non sono uno psicologo e quindi non voglio entrare nei dettagli di questo fenomeno, ma credo che tutto ciò avvenga perché la maggior parte delle persone si sente protetta da una specie di filtro virtuale ed esso fa sì che la rabbia possa esprimersi con molta più facilità, senza mediazioni. Probabilmente se la stessa discussione avvenisse oralmente fra persone in carne e ossa, sarebbe più difficile arrivare ad usare toni altrettanto spavaldi e polemici: entrerebbero infatti in tale caso in gioco infatti anche altri elementi fondamentali della comunicazione come lo sguardo, il tono della voce, la posizione del corpo che sono assenti nella comunicazione scritta virtuale, che è quindi più propensa a generare equivoci.

mercoledì 1 aprile 2015

Disoccupazione in crescita nonostante il Jobs Act. Era prevedibile...

Hanno fatto molto discutere i dati diffusi ieri dall'ISTAT: il 42,6% dei giovani non lavora e la disoccupazione generale è del 12,7%. Il numero assoluto di disoccupati è cresciuto di 67 mila unità in un anno e di 23 mila unità su base mensile. In particolare si registra un forte calo dell'occupazione femminile, pari a circa 42 mila posti di lavoro in meno. Sono dei numeri che dimostrano un peggioramento della situazione rispetto al mese scorso, inoltre questi dati sono in forte controtendenza rispetto a quelli diffusi nelle settimane scorse dal Governo che parlava di ben 79 mila nuovi occupati grazie all'introduzione del Jobs Act. Ecco che viene calata la maschera su quale tipo di occupazione è stata creata grazie alla nuova riforma del mercato del lavoro: il Jobs Act ha infatti in grandissima parte favorito soltanto delle "stabilizzazioni" di lavoratori che già prestavano la propria opera presso le stesse aziende con contratti a tempo determinato, i quali pertanto adesso sono stati trasformati a "tempo indeterminato". Anche se con le nuove norme questa stessa definizione diventa sostanzialmente fittizia, visto che appunto sarà molto più facile per le imprese sciogliere unilateralmente i contratti di lavoro. In pratica le aziende hanno soltanto legittimamente sfruttato il bonus fiscale stanziato dal Governo di 8.000 euro annue per ogni nuovo assunto e quindi è per questo che il numero assoluto dei lavoratori formalmente assunti è aumentato, anche se nella sostanza è veramente irrisorio il numero di veri posti di lavori creati. E in effetti non c'è nulla di strano.

lunedì 30 marzo 2015

Politica sempre più lontana. Ripartiamo dal basso?

La "politica" in senso stretto è considerata, anche a ragione, come un qualcosa di sempre più distante dalle vite e dai bisogni delle persone comuni.
Potrà sembrare un'affermazione banale, ma in realtà è confermata dai dati del sempre maggiore astensionismo: alle ultime elezioni Europee del maggio 2014 fa partecipò circa il 58% degli elettori, mentre alle elezioni regionali del novembre segente in Calabria ha partecipato solo il 43,8% ed in Emilia-Romagna appena il 37,7%.
Questi numeri confermano che ormai la maggior parte degli italiani è stufa, sfiduciata e non si riconosce più nei partiti, visti come luogo del privilegio, della separatezza rispetto a chi vive i problemi di ogni giorno e soprattutto come soggetti impermeabili alle istanze che vengono dal basso. Anche il messaggio che i cittadini hanno dato in occasione delle ultime tornate elettorali è stato estremamente forte e chiaro: "Non ci rappresenta nessuno". 
Al tempo stesso i partiti vengono visti come soggetti che impongono sacrifici sociali alla massa dei cittadini, dall'aumento dell'età pensionabile, al taglio dei diritti e dei servizi sociali, fino a un più generico aumento indiscriminato delle tasse. Ma se è vero che ormai nel paese reale "i partiti sono partiti", nei fatti con poco o con tanto consenso essi continuano comunque a prendere le decisioni, portando avanti anzi sempre più spesso gli interessi dei poteri forti. Anzi, tutto sommato ai partiti interni al sistema sta anche bene che sempre meno persone partecipino alla vita democratica del paese, dal momento che coloro che votano sono evidentemente fedeli alle forze politiche governative e, in fondo, se i cittadini più protestatari e "anti-sistema" stanno a casa è pure meglio. Infatti così è possibile prendere le decisioni più impopolari in modo indisturbato, senza neppure preoccuparsi di deludere le aspettative sociali in chi ha espresso il voto. Insomma l'astensionismo fine a se' stesso non risolve nulla, anzi. In questa fase credo che l'urgenza sia quella di creare nuovi strumenti di democrazia dal basso e al tempo stesso occorre avere la capacità di ricostruire forme di aggregazione che rappresentino davvero chi non ha voce, ma vorrebbe impegnarsi per un reale cambiamento.

venerdì 27 marzo 2015

Strage aerea, a qualcuno avrebbe fatto più comodo se fosse stato un attentato?

Per una volta scrivo prendendo spunto da un fatto di cronaca che sta facendo molto discutere in tutta Europa negli ultimi giorni. Ovvero quello del grave disastro aereo in Francia che ha portato alla morte di 150 persone.
Ieri infatti è stata rivelata una verità inquietante, ovvero che il giovane co-pilota ha volutamente fatto schiantare l'aereo contro la montagne, approfittando dell'uscita del comandante dalla cabina di controllo e mettendo così in atto un suicidio che si è trasformato in pratica in una vera e propria strage di innocenti. Si tratta di un esito tragico e imprevedibile: eppure paradossalmente sul piano delle conseguenze sociali si può quasi tirare un "sospiro di sollievo".
Molti media avevano infatti iniziato a ipotizzare che si potesse trattare di un attentato. In cuore loro alcuni probabilmente confidavano che fosse colpa dei "soliti islamici". Qualcuno già aveva iniziato a "indagare" sulla fede religiosa o sul paese d'origine dei vari passeggeri al fine di individuare dei possibili dirottatori. Addirittura una "politica" italiana, con una domanda su un social network ai limiti dello sciacallaggio, aveva chiesto quale fosse la nazionalità di chi ha commesso la strage. Ebbene, invece si tratta di un giovane tedesco, con nessuna simpatia estremistica religiosa ma con dei problemi di depressione risalenti a sei anni fa. Insomma si è trattato di un gesto isolato, senza nessuna connotazione terroristica ne' ideologica. Ma che cosa sarebbe successo se per puro caso il pilota, senza per questo essere un terrorista, avesse avuto origini maghrebine o arabe? Semplice. Si sarebbe sollevata l'ennesima ondata islamofobica, con una scontata campagna d'odio su scala internazionale, per la grande gioia dei partiti razzisti di mezza Europa sempre pronti a soffiare sul fuoco di queste tragedie.

mercoledì 25 marzo 2015

Prescrizioni eccellenti, un segno dell'impotenza della Giustizia italiana

In questi giorni la cronaca giudiziaria si intreccia curiosamente con il dibattito politico parlamentare. 
Ha fatto molto scalpore la notizia della decisione della Corte di Cassazione di prescrivere i reati dei vari soggetti coinvolti nello scandalo di Calciopoli del 2006. Con numerosi noti dirigenti sportivi e arbitri di calcio che pur essendo stati condannati per "associazione a delinquere" nei primi gradi di giudizio, alla fine non sconteranno alcuna pena grazie appunto all'intervento della prescrizione. Per i meno esperti di temi giuridici con questo termine si intende "l'estinzione di un reato a seguito del trascorrere di un determinato periodo di tempo". In poche parole questi soggetti erano colpevoli ma non saranno puniti solo perché ormai è passato troppo tempo (nel caso specifico 9 anni) dal momento del reato.
E' evidente che si tratta di una grande ingiustizia. Anche perché ovviamente sono sempre i soggetti più potenti e ricchi ad avere maggiori possibilità di arrivare alla prescrizione, ad esempio grazie all'abilità di avvocati super-pagati molto capaci a tirarla per le lunghe e a chiedere rinvii che allungano i tempi del processo. Insomma, come sempre una giustizia debole con i forti e forte con i deboli, visto appunto che i "poveri Cristi" magari con un legale d'ufficio non possono certo godere di simili trattamenti di favore.

lunedì 23 marzo 2015

Disimpegno sociale e individualismo. Di chi è la colpa? Come ne usciamo?

Rifletto spesso sul grande disimpegno sociale e politico che caratterizza la gran parte dei giovani di oggi, per intenderci quelli nati dagli Ottanta in poi. Una generazione che sembra non avere dei sogni collettivi di trasformazione sociale, come avevano invece avuto la gran parte di quelle precedenti.
Non è mia intenzione generalizzare, dal momento che esistono ovviamente numerosi casi di ragazzi che si impegnano quotidianamente nelle associazioni, nei comitati, nei gruppi studenteschi e politici. Ma è evidente che si tratta di "mosche bianche", un'esigua minoranza di componenti di una generazione che invece, nella gran parte dei casi, non si è mai neppure posta il problema di partecipare alla vita pubblica e si disinteressa a quello che accade nel mondo attorno. Tanto meno voglio fare un ragionamento paternalistico, anche perché anagraficamente non potrei permettermelo essendo io stesso nato a metà degli anni Ottanta, inoltre non avrei nessuna autorevolezza per giudicare il comportamento dei miei coetanei. E' invece utile riflettere nell'ambito di una visione più ampia, quella delle conseguenze di medio-lungo periodo per la vita sociale, aggregativa e anche politica di un paese. Questa visione individualistica della vita in fondo è estremamente funzionale a un modello economico in cui sempre più le relazioni sono subalterne al mercato, e ancor di più a un sistema politico basato sul "leaderismo", fenomeno che a prescindere dai vari attori da ormai oltre venti anni domina la scena italiana.
Naturalmente le "colpe" del grande disinteresse non sono certo dei giovani in se' come categoria, ma risiedono in gran parte nella socializzazione alla vita pubblica che hanno ricevuto da parte di genitori nati negli anni Cinquanta o Sessanta. Essi sono stati infatti a loro volta giovani negli anni Ottanta, ovvero nel decennio del cosiddetto "reflusso", quello del grande disimpegno. Un periodo tutto sommato di "vacche grasse", di sviluppo economico e in cui sembrava di essere all'alba di un'epoca d'oro senza fine. E ovviamente hanno cresciuto i loro figli illudendoli di vivere un periodo di splendore, in cui tutto sommato le cose meglio di così non potrebbero andare e quindi tanto vale non impegnarsi nella vita pubblica e puntare invece sull'individualismo. Tutte idee che i media, prepotentemente entrati nelle nostre vite proprio nell'ultimo trentennio, avallano quotidianamente.

venerdì 20 marzo 2015

Scuola, una riforma da bocciare

In questi giorni si parla molto di istruzione dopo che il Governo ha emanato il DDL sulla "Buona Scuola".
Credo che l'impianto di questa riforma sia negativo, sia sul piano delle ricadute concrete per chi vive nel mondo della scuola, sia sul piano culturale più complessivo.
Una delle principali novità di questa riforma sarà l'enorme potere che verrà dato ai dirigenti scolastici. In pratica i Presidi diventerebbero dei "manager" con in mano due elementi fondamentali. Da un lato avranno la possibilità di scegliere direttamente il personale docente del proprio istituto, introducendo una "chiamata diretta" fra i membri di un Albo; il tutto appare ai limiti della costituzionalità e anche nella sostanza è facile immaginare dove potrebbe portare una modalità di assunzioni del genere, specie in un paese clientelar-familista come l'Italia. Dall'altro lato i Presidi avranno maggiori poteri sulla didattica, potendo quindi di fatto entrare nel merito degli argomenti insegnati. Quest'ultima prerogativa finora è di competenza del "collegio dei docenti", ovvero di un organo più ampio in cui i vari insegnanti possono far pesare le proprie idee e la propria visione culturale; esso invece con la riforma avrebbe solo un ruolo consultivo. In sostanza si avrebbe il depotenziamento degli organi collegiali (es. rappresentanze studentesche e dei genitori) con la fine della "democrazia scolastica". Si tratterebbe, anche simbolicamente, della fine della partecipazione dal basso all'interno della scuola, ovvero di uno dei motori culturali del paese. 
Altro aspetto molto controverso sarà quello del finanziamento alle scuole private. Già adesso, fra finanziamenti diretti e indiretti, il mondo delle "scuole paritarie" di ogni ordine e grado riceve circa 700 milioni di euro annui. Il tutto nonostante l'articolo 33 della Costituzione dica chiaramente che i "privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato". Dispositivo costituzionale che viene violato praticamente da ormai alcuni decenni sia a livello nazionale che nei territori locali. Ma con questa riforma vi sarebbe un ulteriore passo avanti (o meglio, indietro). Infatti è prevista la possibilità per ogni cittadino di devolvere il proprio 5 x 1000 a una singola scuola privata, la quale quindi potrà incamerare nuove risorse direttamente dai contribuenti.
Inoltre poco o niente di concreto viene proposto per combattere realmente due piaghe come la precarietà dei docenti e l'eccessivo numero di ragazzi per classe, così come non ci sono misure per snellire le interminabili liste di attesa per l'accesso agli asili nido pubblici e alle scuole dell'infanzia.

mercoledì 18 marzo 2015

Raccomandazioni e clientele, una normalità che spaventa

Sta facendo molto discutere nelle ultime ore, nell'ambito di un'inchiesta giudiziaria sui grandi appalti, il fatto che il figlio di un Ministro in carica sia stato assunto da uno degli imprenditori poi arrestati per corruzione. Non voglio entrare nel merito di questa vicenda, però prendo spunto da tale notizia per una riflessione più ampia sulle raccomandazioni e sul nepotismo.
Se tutti sanno cosa è una raccomandazione, credo sia necessario precisare il significato di "nepotismo": la tendenza, da parte di detentori di autorità o particolari poteri, a favorire i propri parenti indipendentemente dalle loro reali abilità e competenze. Esso è un retaggio medioevale utile come auto-protezione delle caste e delle corporazioni, nel quale evidentemente il talento e il merito contano poco o nulla per avere un incarico.
Si tratta di due fenomeni sociali strettamente legati fra loro che contribuiscono al sempre maggiore declino economico, sociale e culturale di questo paese. Risulta sempre più evidente, da diverse inchieste, quanto spesso la concessione di posti di lavoro a persone vicine a un potente, possa aiutare ad esempio ad ottenere appalti o favori di varia natura. In questi casi la raccomandazione si intreccia con il clientelismo e diventa ovviamente illegale.
Ci sono altri casi nei quali invece il confine è più sottile, vedi il caso di un’università italiana dove tempo fa si è “scoperto” che madri, padri, figli, zii e nipoti avevano cattedre e collaborazioni nello stesso Ateneo. Situazioni che ovviamente non premiano la qualità della ricerca accademica e che incentivano sempre più giovani, preparati ma non "appoggiati", a cercare fortuna all'estero.
Oppure cosa vogliamo dire dei parenti (o amici) di personaggi politici, legati a un qualsiasi partito di governo, che vengono collocati lavorativamente nel "sottobosco" della politica oppure assunti in pubbliche amministrazioni, magari bypassando graduatorie e concorsi, grazie a "chiamate dirette" (peraltro spesso incostituzionali) o a consulenze spesso inutili?

lunedì 16 marzo 2015

Dalla "lotta di classe" alla "guerra fra poveri", come invertire la tendenza?

Un tempo, praticamente fino all'ultimo decennio del Novecento, si parlava molto spesso anche sui media di conflitto sociale e di lotta di classe, visti come un momento dialettico nel quale le classi principali si fronteggiavano con avanzamenti e arretramenti reciproci. Ad esempio, lo Statuto dei lavoratori ottenuto in Italia nel 1970 fu un avanzamento della classe lavoratrice a culmine delle lotte degli anni Sessanta, così come invece l'abolizione della scala mobile del 1984-85 fu un'arretramento oggettivo, segnando l'inizio di una serie di sconfitte per il mondo del lavoro.
Oggi però, e da diversi decenni a questa parte, non si può più parlare compiutamente di "lotta di classe" come storicamente è stata intesa in passato. Intanto per la trasformazione e segmentazione del lavoro che ha avuto come conseguenze il fatto che le persone, pur svolgendo lo stesso lavoro, si trovano ad avere contratti e trattamenti salariali diversi che non li pongono nelle stesse condizioni, a tal punto da non farli più sentire davvero sulla stessa barca. A questo possiamo aggiungere la crisi dei sindacati, che rappresentano una fetta sempre minore dei lavoratori, anche a causa di troppe connivenze a cui negli anni si sono spesso prestati.
Se non esiste più la lotta di classe in senso stretto, esiste però la "lotta sulla classe", ovvero l'attacco che i poteri forti continuano, con una lenta impazienza, a portare avanti contro il mondo del lavoro. La riforma pensionistica Fornero del 2012 e poi l'approvazione del Jobs Act a fine 2014 sono due chiare dimostrazioni in tal senso. Provvedimenti che non hanno incontrato una reale capacità dei movimenti di lavoratori di mettere in campo forme di lotta efficaci.

venerdì 13 marzo 2015

Lavorare gratis, la nuova frontiera dello sfruttamento

Sta facendo molto discutere la notizia che alla prossima Expo che da maggio prenderà il via a Milano ci saranno migliaia di giovani che lavoreranno gratis.
Lo dico subito, culturalmente prima ancora che sul piano economico, tutto questo è una sconfitta. Una sconfitta per chi, da secoli, lotta per i diritti del lavoro e per un salario equo. Così come è un grave danno per le aspettative dei milioni di giovani precari che popolano questo paese. Se passa il messaggio che qualcuno è pronto a lavorare gratis, è abbastanza semplice ipotizzare che ben presto (e già avviene troppo spesso), questa pratica si potrebbe diffondere sempre di più.
Qualcuno afferma che il lavoro all'Expo sarebbe equiparabile al volontariato. Io non penso che si possa azzardare un paragone simile. Il volontariato è una cosa seria. Non si è mai visto invece un volontariato fatto nella reggia di multinazionali che hanno speso miliardi di euro per una kermesse, dove si parla di "Nutrire il pianeta" ma intanto si crea un eco-mostro di 500 Kmq, imponendo cementificazione e consumo di suolo.
Uscendo dal tema Expo e parlando in generale, non è certo la prima volta che, in modo più subdolo e frammentato, in questo paese si "lavora gratis". Come possiamo chiamare altrimenti i tanti tirocinii e stage, spesso tutt'altro che formativi, che in qualsiasi settore economico vengono proposti a migliaia di giovani ogni giorno? Il tutto con l'illusione poi di un contratto a progetto, il quale forse potrebbe trasformarsi in un contratto a tempo indeterminato che, nel 99% dei casi non arriverà mai. 
Non è questo il luogo per fare riflessioni troppo approfondite su quanto sia degradante il mondo del lavoro italiano degli ultimi anni. Peraltro non solo per colpa di "imprenditori cattivi", ma anche di una politica e di alcuni sindacati conniventi con chi ha voluto dequalificare i diritti del lavoro. Ma almeno mettiamoci d'accordo su una cosa: lavorare gratis è un autogol clamoroso per tutti.

mercoledì 11 marzo 2015

Riforme istituzionali, poche luci e molte ombre

In questi giorni si parla molto di "riforme istituzionali", dopo che la Camera ha approvato la proposta del Governo. Una riforma costituzionale che per entrare in vigore avrà ancora bisogno di tempo: serve una seconda approvazione da parte dei due rami del parlamento e poi, nel caso in cui essa non avvenga con la maggioranza qualificata dei 2/3 ci sarà un Referendum popolare confermativo, quindi senza quorum, in cui i cittadini avranno l'ultima parola.
A mio modesto parere questa riforma contiene molte ombre e solo qualche luce. Tralascio le implicazioni più strettamente politiche e autoreferenziali fra i gruppi politici ("Patto del Nazzareno" e spaccature interne ai partiti), ma vorrei soffermarmi sulle conseguenze concrete per le istituzioni.
Comincerei a parlare degli elementi a mio avviso positivi. Fra questi credo possa rientrare la modifica relativa ai Referendum, per i quali ci sarebbero due distinti quorum. Se saranno raccolte 500.000 firme la consultazione per essere valida necessiterà della partecipazione al voto del 50% +1 degli aventi diritto (quindi come adesso), mentre se saranno raccolte almeno 800.000 firme il quorum si abbassa sensibilmente alla metà dei votanti alle ultime elezioni politiche per la Camera. Una novità di buon senso, in modo che solo i cittadini che hanno veramente interesse alla cosa pubblica possano incidere nella riuscita di un quesito referendario e i contrari non potranno affidarsi all'effetto "qualunquismo". Al tempo stesso non sarebbe poi così negativo l'innalzamento da 50.000 a 150.000 le firme necessarie per una "proposta di legge di iniziativa popolare", a patto che appunto quando essa è depositata ci siano dei tempi certi e rapidi nella discussione da parte delle Camere di proposte provenienti direttamente dai cittadini.
Passiamo adesso ai lati negativi della riforma, che sono molti. Intanto da un punto di vista della forma: è possibile che una riforma di simile importanza venga approvata da un Parlamento che, secondo la Corte Costituzionale, è stato eletto con una legge incostituzionale come il Porcellum?
Ammesso e non concesso che ciò sia lecito o opportuno, proviamo ad entrare nel merito della riforma. La novità a mio avviso più grave sta nel fatto che il Senato non sarà più eletto direttamente dal popolo attraverso le elezioni, ma diventerebbe un organo di secondo grado, composto da nominati. In particolare tre i 100 nuovi senatori ve ne sarebbero 5 di nomina del Presidente della Repubblica; altri 74 scelti da parte delle Regioni all'interno dei membri dei consigli regionali e altri 21 saranno infine Sindaci, espressione uno di ciascuna Regione. Tutto questo svilisce l'istituzione Senato, mortifica il diritto di voto dei cittadini e soprattutto è scorretto sul piano della rappresentatività sia delle forze politiche sia dei vari territori. Mi spiego meglio: ogni consiglio regionale nominerà da un minimo di 2 a un massimo di 5 senatori, è evidente che essi saranno scelti solo fra i gruppi politici maggiori, determinando una sotto-rappresentanza di partiti che magari hanno un discreto consenso (anche del 10-15%) uniforme in tutte le regioni, ma che potrebbero essere del tutto estromessi dal nuovo Senato. Inoltre particolarmente sbagliata è la decisione di selezionare 21 sindaci: essi saranno sicuramente espressione delle città più grandi (probabilmente capoluoghi regionali), discriminando così i milioni di cittadini che vivono nei comuni medio-piccoli. Nel complesso si tratta di una svolta iper-maggioritaria, soprattutto se vi sarà l'approvazione di una legge elettorale come l'Italicum attualmente in discussione.