mercoledì 1 aprile 2015

Disoccupazione in crescita nonostante il Jobs Act. Era prevedibile...

Hanno fatto molto discutere i dati diffusi ieri dall'ISTAT: il 42,6% dei giovani non lavora e la disoccupazione generale è del 12,7%. Il numero assoluto di disoccupati è cresciuto di 67 mila unità in un anno e di 23 mila unità su base mensile. In particolare si registra un forte calo dell'occupazione femminile, pari a circa 42 mila posti di lavoro in meno. Sono dei numeri che dimostrano un peggioramento della situazione rispetto al mese scorso, inoltre questi dati sono in forte controtendenza rispetto a quelli diffusi nelle settimane scorse dal Governo che parlava di ben 79 mila nuovi occupati grazie all'introduzione del Jobs Act. Ecco che viene calata la maschera su quale tipo di occupazione è stata creata grazie alla nuova riforma del mercato del lavoro: il Jobs Act ha infatti in grandissima parte favorito soltanto delle "stabilizzazioni" di lavoratori che già prestavano la propria opera presso le stesse aziende con contratti a tempo determinato, i quali pertanto adesso sono stati trasformati a "tempo indeterminato". Anche se con le nuove norme questa stessa definizione diventa sostanzialmente fittizia, visto che appunto sarà molto più facile per le imprese sciogliere unilateralmente i contratti di lavoro. In pratica le aziende hanno soltanto legittimamente sfruttato il bonus fiscale stanziato dal Governo di 8.000 euro annue per ogni nuovo assunto e quindi è per questo che il numero assoluto dei lavoratori formalmente assunti è aumentato, anche se nella sostanza è veramente irrisorio il numero di veri posti di lavori creati. E in effetti non c'è nulla di strano.
Non esiste nessuna riforma del lavoro, neppure la più dura sul piano della sottrazione dei diritti e quindi più "conveniente" per gli industriali, che potrà veramente fare da volano alla ripresa dell'economia. Questo perché infatti la "domanda" di beni è sempre più bassa a causa del sempre minore potere d'acquisto. In pratica se i salari e gli stipendi di chi lavora restano fermi (o diminuiscono), e il loro ammontare complessivo è nei fatti sempre più basso rispetto a quello delle rendite e dei profitti, la massa dei lavoratori-consumatori ha meno possibilità di acquistare i beni di consumo, quindi c'è meno bisogno di produrre e di conseguenza pure di assumere. Ecco perciò che fino a quando non si metterà mano alla ripartizione della ricchezza prodotta, sarà davvero difficile che l'economia possa ripartire. Il sistema neoliberista ha fallito e continuare ad adottare le sue ricette per uscire da una crisi nella quale esso stesso ci ha fatti piombare, non porterà da nessuna parte. Anzi farà solo a diminuire i diritti dei pochi che ancora ne sono provvisti. E' evidente che la classe politica italiana è troppo subalterna ai poteri forti, nazionali e internazionali, per poterci portare fuori collettivamente da questa situazione. Ancora una volta, l'unica speranza è l'autorganizzazione dei soggetti sociali che pagano la crisi sulla propria pelle, che non si fanno ingannare dal fumo negli occhi della propaganda governativa e che hanno sempre più la necessità di cambiare verso, ma per davvero.

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