venerdì 27 febbraio 2015

Sponsor per lavorare? Il caso dei calciatori dilettanti "sponsorizzati"

Per una volta voglio scrivere di sport e in particolare sul calcio. Lo faccio per parlare di quella che negli ultimi anni è una pratica assai diffusa (e a mio avviso anche molto discutibile): ovvero quella degli sponsor legati a giocatori ed allenatori. 
Praticamente che cosa succede? Soprattutto fra i dilettanti sempre più calciatori e in particolare allenatori hanno l'opportunità di essere tesserati da una squadra se portano uno sponsor, ovvero un'azienda di loro conoscenza disposta a finanziare la società sportiva se ingaggia la persona in questione. E' tutto legale, sia chiaro. Ma moralmente questa situazione, sconosciuta a molti di coloro che seguono lo sport da una distanza meno ravvicinata, indigna un numero sempre maggiore di persone. Anche perché oltre a premiare soggetti meno bravi ma meglio appoggiati, tiene fuori dall'ambiente sportivo centinaia di calciatori e allenatori comunque capaci ma che non sono però raccomandati. Il tutto alla faccia del merito. Questa situazione purtroppo riguarda non solo gli "adulti", ma spesso anche il calcio giovanile, con la conseguenza di un pessimo esempio verso migliaia di ragazzi.
Naturalmente non tutti quelli che giocano lo fanno perché hanno uno sponsor alle spalle, anzi nella maggior parte dei casi non è così, però si tratta di un fenomeno sempre in maggiore crescita in Italia. 
Questa situazione non tanto avviene nel "calcio che conta", dove indubbiamente ci sono tantissime altre questioni che non vanno (diritti TV, scommesse, polemiche arbitrali etc.) ma perlomeno questa pratica specifica è meno diffusa. Lì sono semmai le multinazionali che cercano i giocatori già affermati affinché leghino i loro nomi a un certo marchio, però si tratta di una situazione del tutto diversa. Per quanto riguarda il calcio dilettantistico, che numericamente è quello che coinvolge il maggior numero di persone, invece la "sponsorizzazione" di giocatori e tecnici è una pratica molto diffusa.

mercoledì 25 febbraio 2015

Troppi diritti o stipendi troppo bassi? Ecco perché questo paese non "riparte"...

C'è una leggenda che si aggira da tempo in Italia, nei dibattiti televisivi e negli editoriali dei principali quotidiani, che ormai è stata interiorizzata anche da buona parte delle persone. Si tratta dell'idea che le imprese italiane non creano più occupazione perché i lavoratori avrebbero troppi diritti e tutele; concetto dal quale i vari governi degli ultimi anni hanno preso le mosse riducendo pian piano il complesso dei diritti dei lavoratori, come se questo potesse essere un motore per la ripresa economica: l'ultimo atto in tal senso è stato il "Jobs Act" con la cancellazione dell'articolo 18 dello statuto dei lavoratori. 
Una distinzione che spesso nelle analisi non viene fatta è quella fra piccole e grandi imprese. Bene, i lavoratori delle piccole aziende (ovvero al di sotto dei 15 dipendenti) che sono la maggioranza in Italia, non hanno mai avuto l'articolo 18 e le tutele ad esso collegato. Ci fu nel 2003 un referendum per provare ad estendere questa tutela ai dipendenti di tutte le aziende, ma purtroppo fallì. Quindi a ben vedere la gran parte delle aziende e dei piccoli imprenditori italiani non avranno nessun guadagno materiale dalla nuova normativa. Al contrario sono le aziende più grandi (e in particolare le industrie con migliaia di dipendenti) ad avere, grazie alle nuove norme, la possibilità di licenziare con maggiore facilità senza avere l'obbligo di reintegrare in caso di "ingiusta causa", ma potendosi limitare ad esigui risarcimenti in denaro: le cosiddette "tutele crescenti". 
Si tratta di aziende che, come molto spesso accade, non hanno certo timori a delocalizzare in paesi nei quali il costo del lavoro è molto più basso (anche il 90% in meno) e i diritti sono prossimi allo zero. Quindi non è certo con qualche piccola modifica nella legislazione del lavoro che esse invertiranno la propria volontà.

lunedì 23 febbraio 2015

"Da qui se ne vanno tutti", quale futuro per un paese con i giovani in fuga?

Rifletto spesso sul fatto che da questo paese "se ne vanno tutti". Per le generazioni nate negli ultimi decenni infatti l'Italia sembra non avere più nulla da offrire. Sempre più giovani un bel giorno fanno la valigia e vanno a vivere all'estero: per studio, per lavoro ma a volte addirittura "al buio" dicendo "vediamo laggiù che cosa troviamo". E spesso non si spostano solo verso paesi sulla carta più "sviluppati" come Inghilterra, Germania, Belgio o Lussemburgo, ma anche in luoghi dai quali fino a pochi anni fa si scappava: dall'Ungheria alla Slovacchia, dalla Turchia fino a Hong Kong. Per avere i numeri basti pensare che nel 2013 furono in tutto ben 94.000 gli italiani a fare le valigie (oltre 250 al giorno). Si tratta di una vera e propria "emorragia" di giovani che, anche comprensibilmente, cercano un futuro altrove
A guardare ancora meglio il fenomeno in questione, l'emigrazione italiana contemporanea, anziché una questione generazionale è però più specificatamente una questione "di classe". La mobilità sociale nel nostro paese è infatti ferma da decenni. E la maggior parte dei nuovi "emigranti" proviene proprio dai ceti medio-bassi. Chi parte, in tanti casi lo fa dopo tanto precariato e magari dopo aver conseguito dei titoli di studio medio-alti (laurea, master etc), a cui però difficilmente corrispondono certezze lavorative se non si è ben "appoggiati". Ma lo fanno anche i molti che non hanno titoli di studio particolarmente elevati e che all'estero si ritrovano a svolgere, con tanta dignità, anche mestieri meno specializzati come camerieri, lavapiatti o commesse. Il tratto comune è che per molti la "fuga" dall'Italia rimane l'unica speranza e in tanti casi produce poi, nel medio-lungo periodo, anche diverse soddisfazioni individuali.

venerdì 20 febbraio 2015

Hooligans e violenze, sicuri che c'entrino con il calcio?

Sta facendo molto discutere nelle ultime ore il fatto che centinaia di "hooligans" olandesi, sedicenti tifosi del Feyenoord, hanno scatenato violenze nel centro di Roma e avuto scontri con le forze dell'ordine, arrivando anche a provocare danni ad alcuni monumenti del centro storico romano.
Credo che sia troppo semplicistico etichettare come "violenza nel mondo del calcio" questi atti di teppismo e di violenza gratuita, che troppo spesso si verificano specie in contesti di gare internazionali. Infatti a ben con tutto questo vedere il calcio c'entra ben poco. Nel caso specifico ad esempio gli scontri principali sono avvenuti in Piazza di Spagna e a Villa Borghese, ovvero a diversi chilometri di distanza dallo Stadio Olimpico. 
Semmai quindi il calcio viene preso a pretesto da parte di soggetti malintenzionati e in gran parte dei casi legati anche al mondo della criminalità, per commettere reati, come furti, saccheggi e devastazioni. Usano e strumentalizzano eventi sportivi per confondersi nella massa, estremamente maggioritaria, dei tifosi pacifici. La maggioranza delle persone che segue anche in trasferta la propria squadra del cuore non ha invece assolutamente nessuna intenzione di produrre violenze o disordini. Ma come sempre una minoranza rumorosa e riottosa, può mettere in cattiva luce una maggioranza silenziosa e pacifica. Succede nel calcio, come in altre dinamiche di piazza.

mercoledì 18 febbraio 2015

Disagio giovanile, un segno della crisi del modello di società

Una delle prime riflessioni di questo mio blog sento di doverla fare sulla crisi di identità e generazionale che molti giovani, in particolare adolescenti, stanno mostrando in questo periodo; fenomeno che si è dimostrato in tutta la sua crudezza nel mio paese natale con il suicidio di due sedicenni nel giro di appena tre mesi.
Al di là dei pochi che hanno la tentazione di arrendersi, ci sono comunque in generale sempre più casi di depressione, di fughe per richiamare l'attenzione degli adulti, ma anche fenomeni di dispersione scolastica più alti rispetto a un decennio fa.
Piuttosto che giudicare le scelte di ognuno, credo che serva una riflessione collettiva su come è stato costruito questo tipo di società. Sarebbero molte le considerazioni da fare, ma credo sia opportuno partire da un dato, che apparentemente può non sembrare legato a questo argomento, ma che credo abbia un significato sociale; infatti mai come negli ultimi anni infatti in Italia si sono venduti così pochi scooter e ciclomotori di cilindrata 50. Questo è a mio avviso uno dei tanti segnali che ai ragazzini di oggi non "interessa" più nemmeno avere due ruote per prendersi uno spazio di libertà. I ragazzi nati a cavallo del nuovo millennio sono la prima generazione cresciuta con Internet ossessivamente presente nelle nostre vite e quindi non hanno avuto la possibilità di conoscere il "prima" rispetto a questo sistema. Spesso credono di essere liberi dietro a uno schermo, ma purtroppo così non è. Le risposte che non si trovano nella realtà, sono tanto meno ritrovabili nella finzione. Così come oggi vi è una eccessiva spinta a "crescere in fretta" rispetto a pochi anni fa, con gli adolescenti che vogliono fare "subito e tutto" quello che fanno i grandi.
Una grande fetta di responsabilità va anche ovviamente al modello di società che ci è stato costruito intorno.

martedì 17 febbraio 2015

Perchè un blog?

Ho sempre avuto l'idea di avere un mio spazio pubblico di riflessione. In parte ho già usato a tale scopo il mio profilo Facebook, anche se avevo l'esigenza di trovare un luogo più neutro e meno confusionario per fare considerazioni più pacate e approfondite. Inoltre non tutti, soprattutto fra i meno giovani, accedono ai social network e mi sembrava giusto poter condividere anche con loro le mie riflessioni.
La comunicazione è oggi sempre più importante e perché sia davvero efficace, serve usare un linguaggio semplice, che sia comprensibile dal giovanissimo, al lavoratore fino al pensionato. Questo proverò a fare nel mio piccolo.
Nella mia attività giornalistica che dura dal 2010 ho sempre affrontato finora per una precisa scelta solo temi sportivi: infatti troppo grande era il rispetto per il seppur piccolo ruolo politico-istituzionale che ricoprivo fino al 2014 per provare a scrivere giornalisticamente, con la pretesa magari di essere oggettivo, su tematiche sociali, politiche ed economiche. La mia grande passione è però da sempre quella di affrontare temi che riguardano da vicino la vita delle persone. In attesa di poter scrivere magari un giorno a livello professionale, questo blog vuol essere un mio punto di punto di vista, uno spazio di osservazione critico sul mondo che ci circonda.
Cercherò di aggiornarlo con una certa regolarità e di spaziare su tematiche sociali, politiche, economiche ma anche sullo sport, sull'attualità e altri temi, oltre che naturalmente provare a fare a volte anche considerazioni di vita vissuta.
Che dire? Seguitemi!