lunedì 30 marzo 2015

Politica sempre più lontana. Ripartiamo dal basso?

La "politica" in senso stretto è considerata, anche a ragione, come un qualcosa di sempre più distante dalle vite e dai bisogni delle persone comuni.
Potrà sembrare un'affermazione banale, ma in realtà è confermata dai dati del sempre maggiore astensionismo: alle ultime elezioni Europee del maggio 2014 fa partecipò circa il 58% degli elettori, mentre alle elezioni regionali del novembre segente in Calabria ha partecipato solo il 43,8% ed in Emilia-Romagna appena il 37,7%.
Questi numeri confermano che ormai la maggior parte degli italiani è stufa, sfiduciata e non si riconosce più nei partiti, visti come luogo del privilegio, della separatezza rispetto a chi vive i problemi di ogni giorno e soprattutto come soggetti impermeabili alle istanze che vengono dal basso. Anche il messaggio che i cittadini hanno dato in occasione delle ultime tornate elettorali è stato estremamente forte e chiaro: "Non ci rappresenta nessuno". 
Al tempo stesso i partiti vengono visti come soggetti che impongono sacrifici sociali alla massa dei cittadini, dall'aumento dell'età pensionabile, al taglio dei diritti e dei servizi sociali, fino a un più generico aumento indiscriminato delle tasse. Ma se è vero che ormai nel paese reale "i partiti sono partiti", nei fatti con poco o con tanto consenso essi continuano comunque a prendere le decisioni, portando avanti anzi sempre più spesso gli interessi dei poteri forti. Anzi, tutto sommato ai partiti interni al sistema sta anche bene che sempre meno persone partecipino alla vita democratica del paese, dal momento che coloro che votano sono evidentemente fedeli alle forze politiche governative e, in fondo, se i cittadini più protestatari e "anti-sistema" stanno a casa è pure meglio. Infatti così è possibile prendere le decisioni più impopolari in modo indisturbato, senza neppure preoccuparsi di deludere le aspettative sociali in chi ha espresso il voto. Insomma l'astensionismo fine a se' stesso non risolve nulla, anzi. In questa fase credo che l'urgenza sia quella di creare nuovi strumenti di democrazia dal basso e al tempo stesso occorre avere la capacità di ricostruire forme di aggregazione che rappresentino davvero chi non ha voce, ma vorrebbe impegnarsi per un reale cambiamento.
Perché se i partiti attuali rappresentano sempre meno persone, in realtà la "forma partito" sarebbe ancora assolutamente utile, ad esempio per la capacità di organizzare soggetti sociali sempre più soli e dispersi. Insomma non si può "buttare via il bambino con l'acqua sporca". Al tempo stesso è necessario per le "forze dell'alternativa" provare ad attraversare le varie elezioni, che non devono essere viste come il fine della politica ma piuttosto come un mezzo per dare rappresentanza, anche istituzionale, ai soggetti sociali con i quali si portano avanti le battaglie quotidiane. E' possibile e utile fare questo utilizzando delle formule nuove, che non siano una mera riproduzione e sommatoria dei partiti esistenti (anche di quelli più alternativi al sistema). Sia chiaro, l'unità delle sinistre è necessaria, ma al tempo stesso da sola sarebbe insufficiente se non si sapessero anche valorizzare le esperienze più positive nate dal basso, portatrici di linguaggi e di pratiche nuove, animate da soggetti politicamente credibili e provenienti da percorsi coerenti e chiari. Solo così la politica potrebbe tornare a essere percepita come un qualcosa di socialmente utile alla maggior parte delle persone e innescare nuove speranze di cambiamento.

Nessun commento:

Posta un commento