giovedì 30 aprile 2015

I perché della mia candidatura...

Da ieri è ufficiale la mia candidatura alle Elezioni regionali toscane del 31 maggio, sarà possibile votarmi in tutta la provincia di Pisa all'interno della lista "Sì - Toscana a sinistra".
Perché ho preso questa decisione? Cosa ha spinto un 29enne esterno ai partiti di mettersi in gioco? Intanto perchè credo sia giunto il momento di mettere a disposizione di una comunità più ampia l'esperienza maturata a lungo nel comune di Calcinaia, impegnandomi per costruire un territorio solidale e accogliente, per il lavoro, la sanità, la scuola, il trasporto e l'acqua pubblica, la difesa dell'ambiente e i diritti civili. La mia scommessa è però anche quella di provare, in piccolo, a sperimentare un nuovo modo di fare politica, nella convinzione che c'è uno spazio per contribuire al bene comune anche al di fuori dai partiti tradizionali. I quali anzi oggi sono al loro minimo storico di credibilità fra i cittadini. Per questo oggi dico: "Io non sono un politico" ma solo un attivista che vuol mettersi a disposizione per cambiare le cose assieme ad altre e altri.
Farò una campagna elettorale "low cost", sia perché non ho nessun gruppo politico nazionale alle spalle che mi finanzi, sia perchè credo che sia immorale spendere migliaia di euro nelle campagne elettorali in un momento di così devastante crisi economica. Mi chiedo, ha senso che un consigliere regionale percepisca un reddito mensile di circa 8000 euro nette quando invece la maggioranza dei cittadini fatica ad arrivare a fine mese? Come può un "eletto" rappresentare davvero i propri concittadini quando vive delle condizioni materiali ed economiche così agiate rispetto al resto delle persone comuni? Credo che sia urgente opporsi anche a questi privilegi di pochi per aumentare invece i diritti di molti. Serve insomma lottare dal basso contro l'alto, in politica ma anche ogni giorno nella società. 
Se dovessi spiegare la politica a un bambino gli direi: la destra è quella cosa con la quale i potenti provano a dividere i poveri affinché si facciano la guerra fra loro senza disturbare chi sta in alto; la sinistra invece è quella cosa che prova a unire tutti i deboli per aumentare i propri diritti contro le ingiustizie portate avanti dei pochi ricchi.

martedì 28 aprile 2015

Bufale sul web ed egemonia culturale

Internet è ormai diventato un potentissimo mezzo di informazione ma anche al tempo stesso di disinformazione. Centinaia di siti web, in gran parte che pretenderebbero anche di essere considerati "giornali", sono creati ad arte per diffondere notizie false, tendenziose o nelle quale si prova a distorcere parte della realtà. Si pensi alla leggenda che gli immigrati sarebbero dei privilegiati che vivono con 50 euro al giorno in hotel di lusso. Una frottola, che però ormai nell'immaginario collettivo è diventata "vera". Lo stesso Facebook è utilissimo a chi vuol diffondere contenuti che esprimono odio, rabbia e intolleranza. Chi vuol fomentare questi sentimenti si è organizzato molto bene, con la creazione di numerose pagine che lanciano messaggi più o meno razzisti e populisti. Il tutto per strumentalizzarlo poi a livello politico-elettorale al momento giusto. Ormai sono migliaia se non milioni le persone (spesso anche adulte, delusi magari dalla politica e dagli ideali o in alcuni casi "analfabeti di ritorno") che si lasciano abbindolare e finiscono col credere praticamente a qualsiasi cosa, "condividendo" e rendendo anche involontariamente virali certe campagne mediatiche. D'altronde a forza di ripeterla ossessivamente una cosa diventa vera anche se in realtà non lo è. Anche perché i messaggi d'odio si basano sulla semplicità del contenuto e sull'irrazionalità che stuzzicano nella mente del lettore. 

venerdì 24 aprile 2015

70 anni dopo la Resistenza continua...

Questo 25 aprile è il 70° anniversario della Liberazione dell'Italia dal nazifascismo. Una data fondamentale nella storia del nostro paese, che però troppo spesso viene celebrata da alcuni ambienti istituzionali come una mera ricorrenza ai limiti della retorica. Se ricordare quanto accaduto nel Ventennio più buio della storia italiana, è indubbiamente necessario, spesso si rivela non sufficiente. Anche perché le politiche messe concretamente in campo a livello italiano ed europeo sono portatrici di nuove divisioni sociali, crisi e povertà, sulle quali le forze politiche di estrema destra soffiano quotidianamente facendo il classico becero populismo di chi vuole costruire una società basata sull’egoismo e sulla paura. Al giorno d’oggi però non c'è nulla di più vicino al fascismo come il razzismo e quindi che non c'è nulla di più resistente che la lotta contro di esso.  Insomma, qui e ora, c’è ancora tanto bisogno di “Resistenza” per ricostruire anche sul piano culturale, prima che politico, un patrimonio di valori che unisca davvero questo paese, affinché dopo 70 anni l'antifascismo sia un sentimento realmente condiviso anche dalle nuove generazioni. Per evitare rigurgiti fascisti che puntano solo a dividere i più deboli, occorre però anche un serio lavoro nel sociale, per far capire a tutti i precari, i lavoratori, i disoccupati, i migranti, gli studenti e i pensionati che siamo tutti dalla "stessa parte". Tutti oppressi da un sistema economico che impoverisce ogni giorno di più la grande maggioranza delle persone, per arricchire invece i soliti noti che si spartiscono profitti e rendite finanziarie sempre più alte. Anche in questa direzione occorre lavorare seriamente ogni giorno.

mercoledì 22 aprile 2015

Italicum, una legge elettorale autoritaria

In questi ultimi giorni si parla molto della riforma elettorale in discussione in Parlamento. In questo articolo vorrei spiegare che cosa cambia sul piano normativo nella modalità di elezione dei deputati con il cosiddetto Italicum, ma prima voglio soffermarmi sul metodo con cui questa legge sta per essere approvata. La riforma elettorale per antonomasia disegna le "regole del gioco" e su queste servirebbe il massimo accordo e consenso della maggior parte delle forze politiche. In questo caso invece tutte le opposizioni sono contrarie (cosa successa, a dire il vero, anche al momento dell'approvazione del Porcellum nel 2005). Ma in questo caso sta succedendo qualcosa di ancora più singolare: infatti anche una fetta importante dello stesso partito di Governo esprime grosse criticità e potrebbe non votare a favore. Cosa risponde la maggioranza? Rimuove i 10 membri della commissione Affari Costituzionali espressione della minoranza, che potrebbero ostacolare la riforma, per sostituirli con altri deputati più docili e obbedienti. Insomma c'è la repressione del dissenso, che denota un'atteggiamento autoritario da parte di chi a parole si autoproclama "democratico". Un fatto del genere è il paradigma di come questo Governo intende la democrazia, sia interna, che evidentemente più in generale. L'ultimo atto in tal senso potrebbe essere l'apposizione della "questione di fiducia" da parte del Governo sulla legge: un fatto che sarebbe clamoroso sul piano istituzionale dal momento che, da un punto di vista formale non spetta al Governo varare le leggi elettorali ma appunto al Parlamento. Tutto ciò in parte è un significativo antipasto di come certi partiti agiranno se e quando questa legge elettorale sarà in vigore. Con questo entriamo nel merito della riforma. E' previsto che nei 100 collegi i partiti eleggeranno automaticamente il loro capolista, il cui nome è "bloccato" e deciso quindi dal partito (solo a partire dal secondo eletto funzioneranno le preferenze, due, una per ciascun genere); a questo si aggiunga che ci sono le candidature plurime: i capilista potranno candidarsi fino in dieci collegi. Insomma per gli elettori sarà pressoché impossibile scegliere davvero un candidato che non sia voluto dai partiti. Altra novità, sarà la fine del sistema basato sulle coalizioni a cui siamo abituati negli ultimi anni, infatti sarà la lista che arriva prima a ottenere la maggioranza assoluta dei seggi (al primo o al secondo turno) e a governare da sola. Se al primo turno la lista più votata supera il 40%, ottiene subito 340 seggi, ovvero la maggioranza assoluta. Se come prevedibile però nessuna lista dovesse raggiungere tale quota, si andrà al ballottaggio tra i due partiti più votati e chi vince conquista il ugualmente 340 seggi. Questa modalità sarebbe un unicum in tutto il mondo: non esiste infatti nessun altro sistema elettorale che preveda il doppio turno basato sulle liste per determinare una maggioranza parlamentare. Si profila quindi un sistema iper-maggioritario che consegnerà un potere eccessivo a una "maggioranza" che avrà in realtà dalla sua parte meno della metà degli elettori. Il Premier che uscirà da questo sistema sarà il padrone assoluto del parlamento, avendo un solo partito (il suo) a fargli da maggioranza parlamentare.

lunedì 20 aprile 2015

Tragedia del mare, vergogna europea

Sono purtroppo costretto a scrivere anche in questo spazio sulla grave tragedia del mare avvenuta ieri, nella quale circa 700 persone (ma secondo fonti più recenti forse oltre 900) hanno perso la vita nel disperato tentativo di lasciare la Libia, ormai in preda alla guerra civile, per dirigersi verso non tanto l'Italia ma più in generale verso l'Europa e quindi verso la speranza di una vita diversa.
In queste ore si moltiplicano le espressioni di cordoglio ma anche molte strumentalizzazioni da parte di una certa politica che mostra un'insensibilità fuori dal comune. Intanto va precisato che questi viaggi della disperazione non sono da confondere con la normale immigrazione. Infatti chi parte in questo momento da luoghi devastati dalla guerriglia e dal fondamentalismo lo fa per disperazione e perché in gran parte dei casi è perseguitato. Restare significherebbe morte certa, partire può almeno essere una possibilità di salvezza. Quindi al contrario di cosa vorrebbero farci credere i politici razzisti nostrani, i profughi umanitari non vogliono venire in Italia perché questo paese "fa entrare tutti indiscriminatamente" o perché "garantisce privilegi ai migranti". Anzi molto probabilmente queste persone se potessero scegliere non verrebbero mai in Italia, che coi suoi mille problemi interni e con una continua emorragia di giovani nostrani che si trasferiscono all'estero, non è certo una meta ambita da chi potesse davvero scegliere liberamente e razionalmente dove trasferirsi per un insediamento stabile. L'Italia ha invece solo la coincidenza geografica di essere una penisola a forma di stivale che si prolunga nel Mediterraneo fino a poche centinaia di chilometri dai paesi del Maghreb e rappresenta quindi una tappa obbligata per approdare in Europa. Ma a dire la verità qualsiasi migrante se potesse scegliere una destinazione finale opterebbe per altri paesi nord-europei. 
Ecco che quindi l'intera Unione Europea deve farsi carico di una situazione umanitaria che avviene ai suoi confini e che in parte ha contribuito a creare. Dal momento che le responsabilità dei vari stati europei sulla situazione africana e mediorientale sono evidenti, non solo per quanto avvenuto nell'epoca coloniale ma pure per scelte ben precise di politica estera e commerciale degli ultimi anni, anche da parte di Governi attualmente in carica. E' quindi vergognoso che in un quadro del genere l'UE si rinchiuda come una "fortezza" inespugnabile disinteressata a cosa avviene alle sue porte.

venerdì 17 aprile 2015

Che cosa è il TTIP? E perché va fermato?

Alla viglia della giornata di mobilitazione europea contro il TTIP vorrei spiegare per quali motivi secondo me è opportuno opporsi a questo trattato. Intanto vediamo di che cosa si tratta: il TTIP è un trattato di liberalizzazione commerciale fatto con l’obiettivo di abbattere dazi e dogane tra Europa e Stati Uniti rendendo il commercio fra essi più semplice. Apparentemente può sembrare quasi un elemento positivo, ma così non è: si creerebbe infatti un mercato privilegiato fra Europa e USA le cui regole non verranno più determinate dai nostri Governi eletti "democraticamente", ma saranno decise invece da organismi tecnici sovranazionali che risponderanno prevalentemente alle esigenze delle grandi multinazionali.
In poche parole saranno stabiliti degli standard da rispettare che ad esempio penalizzerebbero le piccole aziende, magari specializzate in prodotti tipici e di qualità, le quali non avrebbero la possibilità economica di uniformarsi alle regole decide a tavolino dalle grandi lobby.
Al contrario saranno ovviamente tutelate e favorite le multinazionali, che avranno anche degli organismi tecnici pronte a difenderle: un meccanismo di protezione degli investimenti (Investor-State Dispute Settlement – ISDS) consentirebbe alle imprese europee o USA di citare in giudizio i governi qualora introducessero normative, anche positive per i propri cittadini, che però ledono i loro interessi. In pratica le grandi aziende citerebbero gli Stati in tribunale, ma queste cause non sarebbero giudicate dalla giustizia ordinaria (cosa già possibile oggi), ma invece da un insieme di giuristi che giudicherebbero solo sulla base del trattato stesso se uno Stato, magari introducendo una regola a salvaguardia del clima o della salute, sta creando un danno a un’impresa. Se venisse trovato colpevole, quello stato, regione o comune, potrebbe essere costretto a ritirare il provvedimento o a indennizzare l’impresa, con costi elevatissimi per la comunità.
Il rischio economico è poi anche quello di ritrovarci invasi da prodotti USA a prezzi stracciati che porterebbero danni all'economia e all'occupazione, molto più ingenti dei presunti guadagni. Così come la possibilità che per uniformarsi agli standard economici previsti dal trattato, le aziende prendano la palla al balzo per ridurre ulteriormente diritti e stipendi di chi lavora.

mercoledì 15 aprile 2015

Il liberismo ha fallito. Come usciamo dalla crisi?

Negli ultimi anni è sempre più evidente all'opinione pubblica che il liberismo ha fallito. Disoccupazione, precarietà, tagli ai servizi sociali e devastazioni ambientali sono solo le più lampanti dimostrazioni che il mercato lasciato libero a se' stesso senza nessun controllo pubblico, produce ingiustizie e disuguaglianze
Questo è sotto agli occhi di tutti, eppure le istituzioni (nazionali ed europee) spingono sempre più verso l'ulteriore privatizzazione di servizi da sempre gestiti dal settore pubblico: dalla sanità, ai trasporti, dall'acqua alle Poste. Le motivazioni sono sempre le stesse: aumentare gli introiti per ridurre il debito pubblico, usando inoltre come giustificazione le inefficienze di questi stessi settori. Anche se spesso si tratta di sprechi e inadeguatezze alimentate ad arte al fine di avere un alibi per mettere in mano ai privati e sottoporre al mercato i settori principali dell'economia nazionale.
Io penso che al contrario in un quadro di crisi economica profonda come quello attuale servirebbe più programmazione economica da parte delle autorità pubbliche, per uscire da questa spirale di recessione e sottrazione di diritti. Occorrerebbe in pratica una strategia a medio-lungo termine in grado di definire che cosa serve davvero per il benessere dei cittadini. Occorre ad esempio un serio ragionamento sul settore energetico, per mettere davvero al centro le energie alternative rispetto ai combustibili fossili, al fine anche di ridurre l'inquinamento e le emissioni. Serve un piano coerente di salvaguardia del territorio, con piccole opere e infrastrutture necessarie contro il dissesto idro-geologico, anziché puntare su grandi opere impattanti per l'ambiente. Servono più investimenti nella ricerca, anche al fine di innovare la produzione industriale, magari per decidere davvero che cosa socialmente è necessario produrre, anche per evitare di consumare risorse naturali al fine di trasformarle in prodotti che non vengono poi acquistati o utilizzati. Serve trovare il modo di "lavorare meno per lavorare tutti" e di far corrispondere ciò all'aumento del potere d'acquisto dei lavoratori, in modo che tutti possano vivere dignitosamente. Serve che anche il settore bancario sia maggiormente sotto il controllo pubblico, per evitare che il sistema creditizio si rivolga allo stato solo quando c'è da ripianare le perdite, ma invece che esso svolga davvero un ruolo proficuo per i privati e le piccole imprese. Così come occorre limitare la finanziarizzazione e le speculazioni, che ormai finiscono per avere un ruolo preponderante sull'economia reale e quindi sui bisogni delle persone.

lunedì 13 aprile 2015

Sparate elettorali e "memoria corta". Serve un'alternativa...

Come accade ormai puntualmente ogni campagna elettorale diventa una gara a chi la spara più grossa, e anche stavolta quando mancano meno di 50 giorni alle elezioni regionali e i vari partiti stanno dando il peggio di se'.
Il Governo sostiene di aver improvvisamente trovato un "tesoretto" da 1,6 miliardi di Euro. Al di là del dibattito su come impiegarlo, andrebbe capito come mai è stato "scoperto" proprio adesso e domandarsi se davvero si tratta di una scoperta o piuttosto di una volontà politica di reperire fondi da restituire a una parte dei cittadini proprio alla vigilia delle elezioni. Inoltre va detto che si tratta di una somma che scaturisce da delle "previsioni" sul rapporto deficit/PIL e su quello debito/PIL dell'anno 2015: previsioni che molto spesso in passato si sono rivelate sbagliate. E che insomma lasciano quantomeno sospettare che si tratti dell'ennesima mossa elettorale. Nella quale parte dei cittadini purtroppo crede, come in passato ha creduto alla promessa di abolire l'ICI prima e restituire l'IMU dopo, da parte di chi pochi anni prima aveva contribuito a introdurle. Dall'altra parte dello scacchiere politico imperversa con sempre maggiore demagogia la polemica, anch'essa puntualmente acuita con l'avvicinarsi delle elezioni, dei populisti in camicia verde contro i presunti privilegi degli immigrati e sulla necessità di abbattere i campi Rom. Per smontare questi propositi basta ricordare che tale partito ha già governato per nove anni (dirigendo addirittura il ministero degli Interni) ed evidentemente non ha risolto nessuno dei "problemi" e degli spauracchi che adesso agita con tanta forza. E nessun interesse ha a farlo, dal momento che viene da chiedersi, come farebbero a prendere voti se davvero all'improvviso tutti i migranti decidessero di "tornare a casa propria". Anche in questo caso purtroppo, parte dei cittadini, sembra credere ancora a queste facilonerie razziste, perché purtroppo la "memoria corta" è uno dei principali difetti degli italiani.

venerdì 10 aprile 2015

Acqua pubblica ancora sotto attacco, serve una nuova mobilitazione

Sul tema dell'acqua pubblica è stato detto e scritto molto negli ultimi anni.
Nel 2011 si è svolto un referendum popolare, il primo che abbia raggiunto il quorum negli ultimi venti anni, a cui hanno partecipato 27 milioni di cittadini, esso aveva due obiettivi. Da un lato quello di abrogare la Legge Ronchi che imponeva la totale privatizzazione del servizio idrico a partire dall'anno successivo. Dall'altro lato quello di abrogare la "remunerazione del capitale investito", vale a dire il profitto garantito a favore delle aziende idriche, tratto direttamente dalle bollette degli utenti. Nel corso di questi questi quattro anni passati dal Referendum, in particolare sul secondo quesito vi è stato un sostanziale tradimento della volontà popolare, dal momento che i soggetti preposti ad abrogare materialmente la remunerazione del capitale investito, ovvero i Sindaci riuniti negli ATO, hanno deciso pressoché in tutta Italia di non procedere in tal senso. Con la conseguenza che le bollette pagate in questi anni sono state più elevate rispetto a quanto sarebbe stato previsto dall'esito referendario. Contro a questa decisione fra il 2012 e il 2013 numerosi cittadini hanno attuato una "Campagna di Obbedienza Civile", ovvero autoriducendo le proprie bollette delle percentuali illegittime. Purtroppo anche in tale circostanza le aziende idriche hanno trattato questi cittadini come “morosi” qualsiasi e in alcuni casi sono arrivate perfino a distaccare le utenze, nel silenzio complice delle istituzioni.
Non sazi di tutto questo però i "padroni dell'acqua" stanno portando avanti dei nuovi attacchi alla gestione pubblica di questo servizio essenziale.

martedì 7 aprile 2015

Correnti, trasformismo e leaderismo: ecco cosa non va nei partiti... e quello che invece servirebbe

In questo post torno a riflettere sui partiti politici e sulla crisi che stanno attraversando. Lo faccio con una riflessione generale, che riguarda un po' tutte le formazioni politiche, senza parlare di una in particolare, perché in fondo (senza con ciò voler generalizzare) molte caratteristiche elencate di seguito le accomunano un po' tutte.
E' sempre più diffusa l'idea che nella politica italiana degli ultimi anni l'alternativa fra cui scegliere sia solamente fra personaggi competenti ma disonesti, oppure invece soggetti magari onesti ma oggettivamente poco preparati. Eppure bisognerebbe riflettere sul fatto che ci sono numerose persone oneste, competenti e con passione, che danno il proprio contributo al miglioramento della società in diversi modi, ma che nella situazione attuale non hanno nessuna intenzione di entrare in un partito, nonostante magari ne condividano gli ideali di fondo. I motivi? Forse perché spesso i partiti sono sempre più luoghi di faide e divisioni interne. E forse perché l'eccessiva personalizzazione e il leaderismo scoraggiano il semplice cittadino che vuole impegnarsi in prima persona.  Proviamo ad addentrarci in questi fenomeni.
Riguardo al proliferare di correnti interne ai vari partiti penso, senza banalizzare la giusta dialettica interna a ogni organizzazione, che se gran parte delle energie complessivamente spese dagli attivisti nella battaglia interna fra mozioni ed aree congressuali, fossero impiegate anche solo per la metà nella presenza pubblica esterna (volantinaggi ai mercati o porta a porta, oltre che nel radicamento sociale) ogni partito avrebbe molta più visibilità e anche i militanti stessi molta più autostima e gratificazioni. Questo ovviamente è valido per i semplici attivisti di base, perché invece guardando ai vertici sembra proprio che essi sguazzino a meraviglia in una situazione nella quale il "politicismo" prevale sulla politica vera. Lo dimostra lo studio diramato nei giorni scorsi che evidenzia come nella Legislatura in corso, ovvero in soli due anni, ben 250 parlamentari italiani su 945 abbiano cambiato casacca o gruppo politico, e in alcuni casi anche più di una volta. Segno che nella politica dei palazzi il "trasformismo", fenomeno nato a fine Ottocento, non è mai tramontato ed anzi in questi ultimi anni ha avuto un'accelerazione spaventosa, soprattutto con il venir meno delle ideologie e quindi con il prevalere invece degli interessi personali.
E a proposito di personalismo: l'Italia si conferma il paese in cui questo fenomeno è più alto a livello europeo. Un esempio concreto? Il fatto che nei simboli elettorali della maggioranza delle liste compare il nome del leader (sia esso il segretario nazionale o un semplice candidato sindaco): negli altri paesi tutto ciò sarebbe impensabile. In Italia invece dei partiti deboli e privi di radicamento sociale generano il mostro del "leaderismo" e infatti finiscono con il puntare quasi esclusivamente sul carisma del proprio "capo".

venerdì 3 aprile 2015

Perché c'è così tanta aggressività sui social network?

Con questo post voglio avventurarmi su un argomento poco dibattuto che però mi fa riflettere ogni volta che una discussione nata su un social network prende una piega polemica esasperata, in cui i vari interlocutori usano dei toni sempre più aggressivi e maleducati. Questo tipo di situazione si verifica sia fra soggetti che non si conoscono tra loro nella vita reale, e in questo caso il tutto assume dei contorni ancora più paradossali, sia invece fra persone che si conoscono bene e che quindi usano fra le argomentazioni anche degli sgradevoli aneddoti personali che li riguardano da vicino, mettendo di fatto in piazza questioni private. Complessivamente sembra proprio che stare dietro ad uno schermo renda la maggior parte delle persone più spavalde, arroganti e senza freni inibitori, quasi come se agissero da anonimi, mentre così in realtà non è e quindi le inimicizie nate sul web talvolta si trascinano anche fuori.
Inoltre i social network, e Facebook in particolare, sono la principale vetrina sul mondo che la maggior parte delle persone ha. Il profilo personale di ognuno è in fondo una specie di "biglietto da visita" e in molti lo sanno, vista la grande attenzione che ciascuno impiega nel pubblicare ad esempio selfie o foto di se' in situazioni "positive". E allora perché molte di quelle stesse persone usano il medesimo strumento anche per esibirsi con toni verbali aggressivi, violenti e che trasmettono in gran parte dei casi molta tristezza?
Io non sono uno psicologo e quindi non voglio entrare nei dettagli di questo fenomeno, ma credo che tutto ciò avvenga perché la maggior parte delle persone si sente protetta da una specie di filtro virtuale ed esso fa sì che la rabbia possa esprimersi con molta più facilità, senza mediazioni. Probabilmente se la stessa discussione avvenisse oralmente fra persone in carne e ossa, sarebbe più difficile arrivare ad usare toni altrettanto spavaldi e polemici: entrerebbero infatti in tale caso in gioco infatti anche altri elementi fondamentali della comunicazione come lo sguardo, il tono della voce, la posizione del corpo che sono assenti nella comunicazione scritta virtuale, che è quindi più propensa a generare equivoci.

mercoledì 1 aprile 2015

Disoccupazione in crescita nonostante il Jobs Act. Era prevedibile...

Hanno fatto molto discutere i dati diffusi ieri dall'ISTAT: il 42,6% dei giovani non lavora e la disoccupazione generale è del 12,7%. Il numero assoluto di disoccupati è cresciuto di 67 mila unità in un anno e di 23 mila unità su base mensile. In particolare si registra un forte calo dell'occupazione femminile, pari a circa 42 mila posti di lavoro in meno. Sono dei numeri che dimostrano un peggioramento della situazione rispetto al mese scorso, inoltre questi dati sono in forte controtendenza rispetto a quelli diffusi nelle settimane scorse dal Governo che parlava di ben 79 mila nuovi occupati grazie all'introduzione del Jobs Act. Ecco che viene calata la maschera su quale tipo di occupazione è stata creata grazie alla nuova riforma del mercato del lavoro: il Jobs Act ha infatti in grandissima parte favorito soltanto delle "stabilizzazioni" di lavoratori che già prestavano la propria opera presso le stesse aziende con contratti a tempo determinato, i quali pertanto adesso sono stati trasformati a "tempo indeterminato". Anche se con le nuove norme questa stessa definizione diventa sostanzialmente fittizia, visto che appunto sarà molto più facile per le imprese sciogliere unilateralmente i contratti di lavoro. In pratica le aziende hanno soltanto legittimamente sfruttato il bonus fiscale stanziato dal Governo di 8.000 euro annue per ogni nuovo assunto e quindi è per questo che il numero assoluto dei lavoratori formalmente assunti è aumentato, anche se nella sostanza è veramente irrisorio il numero di veri posti di lavori creati. E in effetti non c'è nulla di strano.