martedì 7 aprile 2015

Correnti, trasformismo e leaderismo: ecco cosa non va nei partiti... e quello che invece servirebbe

In questo post torno a riflettere sui partiti politici e sulla crisi che stanno attraversando. Lo faccio con una riflessione generale, che riguarda un po' tutte le formazioni politiche, senza parlare di una in particolare, perché in fondo (senza con ciò voler generalizzare) molte caratteristiche elencate di seguito le accomunano un po' tutte.
E' sempre più diffusa l'idea che nella politica italiana degli ultimi anni l'alternativa fra cui scegliere sia solamente fra personaggi competenti ma disonesti, oppure invece soggetti magari onesti ma oggettivamente poco preparati. Eppure bisognerebbe riflettere sul fatto che ci sono numerose persone oneste, competenti e con passione, che danno il proprio contributo al miglioramento della società in diversi modi, ma che nella situazione attuale non hanno nessuna intenzione di entrare in un partito, nonostante magari ne condividano gli ideali di fondo. I motivi? Forse perché spesso i partiti sono sempre più luoghi di faide e divisioni interne. E forse perché l'eccessiva personalizzazione e il leaderismo scoraggiano il semplice cittadino che vuole impegnarsi in prima persona.  Proviamo ad addentrarci in questi fenomeni.
Riguardo al proliferare di correnti interne ai vari partiti penso, senza banalizzare la giusta dialettica interna a ogni organizzazione, che se gran parte delle energie complessivamente spese dagli attivisti nella battaglia interna fra mozioni ed aree congressuali, fossero impiegate anche solo per la metà nella presenza pubblica esterna (volantinaggi ai mercati o porta a porta, oltre che nel radicamento sociale) ogni partito avrebbe molta più visibilità e anche i militanti stessi molta più autostima e gratificazioni. Questo ovviamente è valido per i semplici attivisti di base, perché invece guardando ai vertici sembra proprio che essi sguazzino a meraviglia in una situazione nella quale il "politicismo" prevale sulla politica vera. Lo dimostra lo studio diramato nei giorni scorsi che evidenzia come nella Legislatura in corso, ovvero in soli due anni, ben 250 parlamentari italiani su 945 abbiano cambiato casacca o gruppo politico, e in alcuni casi anche più di una volta. Segno che nella politica dei palazzi il "trasformismo", fenomeno nato a fine Ottocento, non è mai tramontato ed anzi in questi ultimi anni ha avuto un'accelerazione spaventosa, soprattutto con il venir meno delle ideologie e quindi con il prevalere invece degli interessi personali.
E a proposito di personalismo: l'Italia si conferma il paese in cui questo fenomeno è più alto a livello europeo. Un esempio concreto? Il fatto che nei simboli elettorali della maggioranza delle liste compare il nome del leader (sia esso il segretario nazionale o un semplice candidato sindaco): negli altri paesi tutto ciò sarebbe impensabile. In Italia invece dei partiti deboli e privi di radicamento sociale generano il mostro del "leaderismo" e infatti finiscono con il puntare quasi esclusivamente sul carisma del proprio "capo".
Credo quindi che si debba a sfatare un mito: il "politico" non deve essere un lavoro a tempo indeterminato. Chi ha l'onore di trovarsi a rappresentare i propri concittadini deve essere pagato il giusto senza diventare un privilegiato. Deve essere previsto un limite al numero dei mandati per non creare rendite di posizione. Servirebbero poi strumenti per far sì che un incarico possa essere a rotazione, magari anche con la possibilità di rimuovere un soggetto se si ritiene che non ricopra adeguatamente la sua funzione. Se invece la politica diventa una professione come un'altra è naturale che i soggetti che la svolgono agiranno solo e soltanto per mantenere il più al lungo possibile questo mestiere (specie visto che molti soggetti saprebbero fare ben poco di diverso). Ecco quindi che chi interiorizza di "essere un politico professionista" molto probabilmente finisce con l'obbedire senza battere ciglio alle decisioni del proprio leader oppure al contrario, se si presenta l'occasione, con opportunismo cambia partito e tradisce così il mandato degli elettori. 
Esistono alternative a questo stato di cose? Sono difficili da realizzare, ma credo di sì. Una politica diversa può essere fatta da persone che vengono dal basso e che comprendono le vere difficoltà nell'arrivare a fine mese, ma serve ovviamente anche che esse abbiano passioni e capacità specifiche. Non come avvenuto negli ultimi anni, quando sembra invece che i partiti abbiano fatto a gara ad eleggere sempre più "yes man" volutamente scelti fra i più incompetenti affinché non disturbassero il manovratore di turno. Servono inoltre dei partiti che abbiano davvero una legittimazione democratica dal basso, in cui le cariche vadano ai più competenti sui singoli temi e non invece che vengano scelte per cooptazione da parte del leader. Occorre che le tessere politiche non siano un modo per far fare scatti di carriera a questo o quel notabile, ma invece un modo per aderire a un progetto di società e per controllare l'operato dei propri rappresentanti. Serve inoltre un sistema elettorale proporzionale, che dia una giusta rappresentanza a tutte le idee. 
Lo ammetto: tutto questo può sembrare un'utopia nell'Italia contemporanea, però credo sia l'unica direzione nella quale provare ad andare se vogliamo che la politica torni ad avere un senso per la maggioranza dei cittadini e quindi che possa essere percepita come uno strumento utile alla trasformazione del mondo.

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