mercoledì 15 aprile 2015

Il liberismo ha fallito. Come usciamo dalla crisi?

Negli ultimi anni è sempre più evidente all'opinione pubblica che il liberismo ha fallito. Disoccupazione, precarietà, tagli ai servizi sociali e devastazioni ambientali sono solo le più lampanti dimostrazioni che il mercato lasciato libero a se' stesso senza nessun controllo pubblico, produce ingiustizie e disuguaglianze
Questo è sotto agli occhi di tutti, eppure le istituzioni (nazionali ed europee) spingono sempre più verso l'ulteriore privatizzazione di servizi da sempre gestiti dal settore pubblico: dalla sanità, ai trasporti, dall'acqua alle Poste. Le motivazioni sono sempre le stesse: aumentare gli introiti per ridurre il debito pubblico, usando inoltre come giustificazione le inefficienze di questi stessi settori. Anche se spesso si tratta di sprechi e inadeguatezze alimentate ad arte al fine di avere un alibi per mettere in mano ai privati e sottoporre al mercato i settori principali dell'economia nazionale.
Io penso che al contrario in un quadro di crisi economica profonda come quello attuale servirebbe più programmazione economica da parte delle autorità pubbliche, per uscire da questa spirale di recessione e sottrazione di diritti. Occorrerebbe in pratica una strategia a medio-lungo termine in grado di definire che cosa serve davvero per il benessere dei cittadini. Occorre ad esempio un serio ragionamento sul settore energetico, per mettere davvero al centro le energie alternative rispetto ai combustibili fossili, al fine anche di ridurre l'inquinamento e le emissioni. Serve un piano coerente di salvaguardia del territorio, con piccole opere e infrastrutture necessarie contro il dissesto idro-geologico, anziché puntare su grandi opere impattanti per l'ambiente. Servono più investimenti nella ricerca, anche al fine di innovare la produzione industriale, magari per decidere davvero che cosa socialmente è necessario produrre, anche per evitare di consumare risorse naturali al fine di trasformarle in prodotti che non vengono poi acquistati o utilizzati. Serve trovare il modo di "lavorare meno per lavorare tutti" e di far corrispondere ciò all'aumento del potere d'acquisto dei lavoratori, in modo che tutti possano vivere dignitosamente. Serve che anche il settore bancario sia maggiormente sotto il controllo pubblico, per evitare che il sistema creditizio si rivolga allo stato solo quando c'è da ripianare le perdite, ma invece che esso svolga davvero un ruolo proficuo per i privati e le piccole imprese. Così come occorre limitare la finanziarizzazione e le speculazioni, che ormai finiscono per avere un ruolo preponderante sull'economia reale e quindi sui bisogni delle persone.

Tutto questo può sembrare solo un esercizio teorico puramente utopistico in un quadro politico e sociale così arretrato. Eppure non si sta parlando di misure impossibili. Basterebbe come sempre la volontà politica, a livello nazionale ed europeo, di rimettere i bisogni delle persone al centro delle scelte. Perché il mercato lasciato a se' stesso porta inevitabilmente all'impoverimento della maggior parte della popolazione, contro l'arricchimento sproporzionato di una piccolissima minoranza. Basti pensare alla previsione sulla ripartizione della ricchezza mondiale per il 2016: infatti l'1% più ricco della popolazione possiederà la metà della ricchezza, mentre il restante 99% si dovrà accontentare dell'altra metà. Naturalmente per scalfire questo stato di cose servirebbe un movimento di opposizione sociale e politica all'austerità e al liberismo all'altezza della sfida, che sappia imporre nuove pratiche e nuove parole d'ordine, che riesca a spostare i rapporti di forza economici e sociali dalla parte di chi paga sulla propria pelle la crisi del capitalismo, ovvero della stra-grande maggioranza delle persone. Riuscire a fare anche solo dei piccoli passi in questa direzione sarebbe già una conquista.

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