venerdì 26 giugno 2015

Illegalità e corruzione, le vere emergenze italiane

Le notizie di cronaca che si susseguono in queste settimane vanno tutte nella stessa direzione: la corruzione e il malaffare riguardano ormai tutti gli ambiti della vita economica e sociale del paese. Lo scandalo "mafia capitale" che vede gran parte dei partiti politici coinvolti in una gestione clientelare della città di Roma. Il calcio-scommesse e le partite truccate che vedono coinvolti sempre più calciatori e dirigenti sportivi. Il Mose, la TAV, i Mondiali di nuoto, la ricostruzione dopo il terremoto dell'Aquila, buchi nella sanità, l'accoglienza dei migranti: ormai ogni situazione diventa occasione di ruberie, tangenti e sotterfugi, con legami sempre troppo stretti fra imprenditori, faccendieri e politici collusi. Tutto questo ormai quasi non fa più nemmeno notizia all'interno di un paese che, anche secondo la classifica dell'ONG "Transparency International" di fine 2014, è quello con il più alto livello di percezione della corruzione in tutta Europa. Ormai l'opinione pubblica è quasi assuefatta da questa disonestà di massa e in molti, anche fra i comuni cittadini, hanno interiorizzato tutto questo come normale. Anzi, in diversi in fondo se potessero ne approfitterebbero volentieri. Ecco che siamo di fronte a una duplice sconfitta. La prima sul piano strettamente economico: si calcola che circa 60 miliardi di euro ogni anno in Italia vadano all'economia sommersa (una cifra pari al 3-4% del PIL, contro una media europea dell'1%), provocando ingenti perdite per le casse pubbliche e quindi in termini di servizi per i cittadini, oltre che distorcere l'economia legale. La seconda sconfitta è sul piano culturale, con appunto la disonestà che è vista sempre più come normale anche da parte delle giovani generazioni, inoltre si insinua sempre più spesso uno spirito di rassegnazione fra coloro che vorrebbero opporsi allo stato di cose presenti.
Insomma combattere la corruzione, il malaffare e la disonestà diffusa dovrebbe essere una delle priorità per questo paese, che soffre anche in termini di credibilità internazionale da questa sua propensione all'illegalità.

venerdì 19 giugno 2015

La radicalità necessaria per ricostruire una politica alternativa

In questo periodo di crisi, in cui le contraddizioni economiche dispiegano tutte le proprie conseguenze sulle popolazioni europee e non solo, in molti paesi è aumentata decisamente la radicalità politica ed elettorale. Gruppi e movimenti che si mettono in netta contrapposizione al "sistema" aumentano consensi ovunque. In diversi casi, purtroppo, sono le forze politiche di estrema destra a crescere in termini di consensi (Front National francese, Lega Nord in Italia, UKIP di Farage di Gran Bretagna, Jobbik in Ungheria), in altri invece sono le forze della sinistra alternativa a dare voce alla forte voglia di cambiamento contro le politiche di austerità (Syriza in Grecia, Podemos in Spagna e Sinn Fein in Irlanda sono addirittura maggioritari).
Anche in Italia ormai i partiti "anti-sistema" rappresentano una fetta consistente del pur volubile, e scarsamente consapevole, elettorato italiano. Sommando i voti (di per se' diversissimi) di Lega Nord e Movimento 5 Stelle, si nota che quasi il 40% dell'elettorato si affida a tali formazioni, con punte ancor più elevate tra i ceti popolari. Quelle stesse classi popolari che per decenni hanno guardato a sinistra, oggi cercano sponda in movimenti populisti. Ormai d'altronde in Italia il principale partito (almeno formalmente) di centrosinistra è da tempo il più grande sostenitore del rispetto ossequioso dei parametri di Maastricht, dei patti di stabilità, delle privatizzazioni dei beni comuni, dei soldi alle scuole private e della riduzione dei diritti del lavoro. Il consenso del PD, ancora piuttosto elevato, è dato dalla sommatoria di una fetta di elettorato "anziano" ancora convinto che si tratti di un partito di sinistra, con invece l'elettorato storicamente rappresentato prima dalla DC e poi da Berlusconi, ovvero i cosiddetti "moderati" dietro ai quali si celano spesso i "poteri forti"; essi finalmente hanno un Governo che fa le riforme liberiste senza troppo conflitto sociale, cosa che invece non era riuscita nell'epoca berlusconiana. In un quadro del genere chi pensasse di migliorare o spostare a sinistra questo PD sarebbe condannato al suicidio. Ed è quello che purtroppo la sinistra politica in questo paese ha fatto nell'ultimo decennio. Una sinistra minoritaria (con percentuali sempre nettamente al di sotto della doppia cifra) e spesso subalterna che si è illusa di poter condizionare le politiche dei democratici, per di più in un quadro di assenza di conflitto sociale. Quando partiti del 4 o 5% si alleano con soggetti del 35 o 40% come possono pensare di influire realmente nelle politiche concrete? Spesso, soprattutto nei territori locali, la necessità di conservare incarichi e quindi di sopravvivere ha prevalso sulla reale possibilità di incidere. Tutte scelte che però sono state frequentemente punite in termini elettorali. In questo quadro, oltre a una forte crescita dell'astensionismo, si è creato pure lo spazio politico per la nascita e diffusione del Movimento 5 Stelle, che anche dall'inefficacia della sinistra di governo ha tratto parte della sua forza (non è un caso se il primo V-day è avvenuto nel 2007, nel bel mezzo del Governo Prodi appoggiato dall'intera sinistra), riuscendo a incanalare la rabbia e la protesta di chi l'ha visto come l'unico strumento per opporsi al "sistema".

venerdì 5 giugno 2015

Dopo il voto, quale futuro per la sinistra?

Torno a scrivere su questo blog dopo le ultime intense settimane di campagna elettorale.
Ci sarebbe molto da dire sul risultato di queste elezioni Regionali, a partire dal grande astensionismo (pari in Toscana oltre alla metà degli elettori), fenomeno ampiamente percepibile anzitempo da chiunque abbia attraversato mercati, fatto volantinaggi e iniziative varie in diversi luoghi sociali (ospedali, stazioni, fabbriche): ennesimo segnale che la politica tradizionale ormai parla a un numero sempre minore di persone. E che servono soluzioni nuove per dare rappresentanza a una fetta sempre più ampia di persone che sta pagando il conto delle politiche messe in atto dai poteri forti, ma che non riesce ad avere speranza nei soggetti politici esistenti. Una fetta di chi vota si è affidata a partiti "anti-sistema" come la Lega Nord e il Movimento 5 Stelle, due soggetti ovviamente molto diversi fra loro, su cui sarebbe lungo soffermarsi in questa sede. Resta il fatto che la gran parte di chi vuole un'alternativa rispetto al PD (soggetto ormai sempre più lontano rispetto alle istanze sociali e anzi pienamente interno al sistema) difficilmente guarda a sinistra. Infatti la sinistra nell'immaginario collettivo è ancora incarnata dal PD, nonostante esso abbia dimostrato in ogni modo (dal Jobs Act alla "buona scuola") di non avere più niente a che fare con la sinistra. Per altri invece la sinistra è vista come il rimasuglio di partiti che non si sono ancora ripresi dalla batosta del 2008, a epilogo della fallimentare esperienza del Governo Prodi, e si sono da allora ulteriormente divisi, auto-condannandosi all'irrilevanza, dimostrata a queste elezioni dall'incapacità di eleggere consiglieri regionali fra le loro file. E' insomma abbastanza naturale che le persone interessate a una vera alternativa di sistema (alla Syriza o alla Podemos, tanto per intenderci) non votino candidati di partiti che al sistema sono stati interni a lungo e corresponsabili dei governi locali del PD; così come è prevedibile che non scelgano membri di partiti che hanno messo davanti a tutto l'orgoglio e i micro-interessi di bottega, subendo ripetute e sonore sconfitte. Insomma in pochi cercano una sponda in una sinistra a lungo prigioniera da un lato del governismo e dall'altro del settarismo
In un quadro nazionale pessimo, credo che sia da valutare come positivo il risultato di "Sì Toscana a sinistra" che con il 6,3% ha eletto due consiglieri regionali, entrambi senza tessera di partito. Una lista che ha saputo sintetizzare le esperienze partitiche con quelle nate dal basso. Da questo punto di vista è necessario registrare che i candidati espressione dei partiti, nonostante risorse militanti e materiali maggiori, non hanno ottenuto i risultati sperati. Dall'altro invece le candidature nate dal basso proposte da esperienze civiche e sociali significative hanno avuto ovunque molti voti, segno di un particolare radicamento sociale e di un lavoro capillare svolto per anni (e non solo nel mese pre-elettorale) nei rispettivi territori. E' da questo dato che occorre ripartire. I risultati ottenuti dimostrano che i partiti della sinistra attuale da soli non vanno da nessuna parte, non hanno più nessuna rendita di posizione da difendere e anzi parlano a una fetta sempre minore della società. Occorre invece a mio avviso che questi partiti escano dai rispettivi recinti e mettano a disposizione le proprie migliori energie militanti per la costruzione di qualcosa di più grande.