lunedì 9 marzo 2015

Dal "cambiamento del mondo" al clientelismo, evoluzione e crisi di un sistema di potere

Vorrei sviluppare in questo post un tema citato anche nella mia recente tesi di laurea. Si tratta della crisi irreversibile della cosiddetta "subcultura rossa", ovvero dell'insieme di quelle strutture sociali, economiche, associative e culturali che nella seconda metà del Novecento, nelle regioni del centro Italia, erano state un importante punto di riferimento dei partiti della sinistra al fine di accrescere e mantenere il proprio consenso.
Da allora il mondo è cambiato profondamente: gli eredi dei soggetti politici che avevano l'obiettivo di rappresentare i lavoratori e i più deboli in generale, hanno subito una trasformazione molto profonda. Essi non sono più i portatori di un'altra visione dell'economia e della società. Non vogliono più "cambiare il mondo", ma limitarsi a gestire l'esistente. Anzi, da ormai due decenni, sono corresponsabili di scelte economiche che hanno peggiorato la vita della maggior parte delle persone, con privatizzazioni, scempi ambientali e favori ai poteri forti. Sono sempre loro i corresponsabili della crisi della politica che ha fatto perdere a molti la speranza che cambiare si può. Il fatto che tali soggetti, in questo quadro, continuino a usare strumentalmente le fitte reti associative costruite in altre epoche (composte da tantissime persone in buona fede ma purtroppo guidate da soggetti spesso calati dall'alto), è solo un maldestro tentativo di riprodurre le proprie posizioni fatte di piccoli privilegi e clientele. Il problema è che in alcuni territori riescono ancora a mantenere la devozione di una fetta della popolazione, soprattutto fra i meno giovani. 
Un tempo queste strutture erano chiamate anche "cinghie di trasmissione" e venivano usate dai partiti per fare egemonia sociale e culturale, provando a rappresentare in piccolo un modello di società alternativo. Sono stati tutti strumenti importanti e positivi per decenni, specie quando il partito di riferimento era stabilmente all'opposizione e aveva in mente un altro modello di società. Oggi però che il "partito" ha subito una vera e propria mutazione genetica e magari si trova al Governo del paese attuando politiche anti-sociali, tali strutture hanno per ovvi motivi perso la funzione di contro-potere che localmente ha avuto un senso a lungo. Al contrario rischiano di essere sempre più un modo per ricollocare il ceto politico uscito dalla cariche istituzionali, strumentalizzando l'utilissimo lavoro che dal basso tanti attivisti e volontari genuini svolgono disinteressatamente.
Inoltre, specie nei territori più piccoli, certe strutture a volte possono diventare "un tappo", che scoraggia i propri aderenti a impegnarsi politicamente contro il "partito", quindi la loro funzione diventa conservatrice e perciò opposta rispetto alla vocazione originaria. Insomma venendo meno la critica sociale all'esistente, il legame a doppio filo con la politica produce spesso solo clientelismo e conservazione.
Sottolineo che volutamente non ho citato né nomi di soggetti politici, né di territori specifici, perché quello che più mi preme evidenziare è la struttura del "sistema" nel suo complesso. Un sistema che già scricchiola e che comunque pare destinato a essere superato nei prossimi anni. La vera sfida sarà capirne le evoluzioni e magari indirizzarle verso un ritorno alle origini, perché anche nella società moderna c'è sempre più bisogno di una fitta rete di volontariato e associazionistica che stia davvero dalla parte dei più deboli e magari contribuisca a cambiare i rapporti sociali.

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