mercoledì 4 marzo 2015

Capitali in fuga, come fermarli?

Mi ha molto colpito, anche se sicuramente non stupito, la notizia delle settimane scorse sulla scoperta dei numerosi milionari (fra essi anche 7500 italiani) che avevano nascosto ingenti capitali in conti segreti in Svizzera, evidentemente per sottrarli alla tassazione dei rispettivi paesi, fra i quali l'Italia. Non si tratta certo della prima volta, nel 2008 ci fu ad esempio un analogo caso di soggetti che avevano portato le proprie ricchezze in Lichteinstein, così come ormai sono proverbiali i depositi alle Cayman, le residenze formali a Montecarlo o in altri paradisi fiscali. Per avere un'idea dei numeri si calcola che nei soli due mesi di agosto e settembre 2014 dall'Italia sono usciti ben 67 miliardi di euro, una cifra pari a 4/5 manovre Finanziarie dello stato.
Ma al di là di questi casi, compiuti da soggetti che operano in gran parte oltre la legalità, c'è anche un altro tipo di delocalizzazione dei capitali internazionali del tutto legale, ma comunque socialmente deprecabile. Ovvero la prassi delle imprese di spostare la sede legale e quella fiscale dal paese di origine in stati più agevoli sul piano fiscale e della libertà di licenziare. Il caso più noto è stato quello della FCA (il nuovo nome della FIAT), che pur essendo operativa per la maggior parte negli USA e in Italia (con stabilimenti anche in altri paesi in via di sviluppo) ha deciso di insediare la propria sede legale in Olanda e quella fiscale in Gran Bretagna. Ma purtroppo tante altre aziende stanno seguendo l'esempio.
Insomma siamo di fronte a un continuo spostamento di capitali e di risorse dai paesi dove avviene sostanzialmente la vera attività economica, per sottrarli alla tassazione; la quale, è sempre bene ricordarlo, è utile e necessaria per ricavare risorse pubbliche necessarie ai servizi per la collettività. 
Di fronte a tutto questo è difficile muoversi anche per una politica che non volesse essere connivente e subalterna alle lobby. Ma qualcosa si può fare, se ci fosse una vera volontà. Vediamo come.
Intanto servirebbe l’interruzione dei finanziamenti statali e dei sussidi di ogni tipo ad aziende e società che trasferiscono la sede all'estero; così come pure un maggiore controllo bancario sui movimenti sopra al milione di euro. Serve però anche un coordinamento a livello internazionale fra i vari paesi sulle politiche fiscali e di controllo, che non consentano ai più furbi di scappare col malloppo, per il semplice fatto che troverebbero magari delle tassazioni uniformi ovunque. Da anni si parla di "Tobin Tax", perché non renderla operativa davvero? E poi, come mai l'Unione Europea anziché imporre austerità e sacrifici ai propri cittadini, non si occupa di uniformare le tassazioni dei propri stati membri? E perché non far sì che ogni multinazionale debba pubblicare una rendicontazione esauriente dei propri utili e pagamenti effettuati, delle tasse pagate e dei flussi di cassa e di bilancio per ogni paese in cui ha attività? Perché non si introduce uno scambio automatico di informazioni fra i paesi per contrastare il "segreto bancario"? E come mai la stessa UE, invece di trattare con USA per dei trattati commerciali (TTIP) che penalizzeranno solo le piccole imprese favorendo le multinazionali, non prova ad accordarsi col partner americano per avere delle politiche fiscali uniformi che non rendano conveniente fuggire da un continente all'altro? Sono solo domande, forse retoriche, ma sulle quali sarebbe necessario iniziare a riflettere.

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