lunedì 2 marzo 2015

Debito pubblico, una trappola da cui sfuggire

Da ormai diverso tempo ci ripetono ossessivamente che il debito pubblico italiano è troppo alto e quindi va tagliato in qualsiasi modo, a costo di togliere fondi alla sanità, alla scuola, alla gestione dei beni comuni e dei servizi pubblici. 
Una grande operazione comunicativa di massa ci spinge sempre più a pensare che i cittadini avrebbero vissuto al di sopra delle proprie possibilità e creando quindi una massa enorme di debiti, da cui possiamo liberarci solo svendendo il "patrimonio di famiglia", magari a qualche grande gruppo multinazionale che ovviamente non vede l'ora di potersi accaparrare a cifre irrisorie settori strategici dell'economia nazionale. Come proverò a illustrare, questa idea si tratta di una "trappola".
In particolare la grande esigenza di ridurre il debito deriverebbe dalla necessità di rispettare i parametri di Maastricht: rapporto deficit/PIL al 3% e rapporto debito/PIL al 60%. E' proprio su quest'ultimo che mi soffermerei, ovvero sul debito accumulato negli anni. Andiamo a vedere più da vicino come esso si è evoluto, soprattutto in termini percentuali. Nel 1980 il rapporto era appena del 58%, l'anno seguente nel 1981 vi fu la storica "separazione" fra la Banca d'Italia e il Ministero del Tesoro e quindi essa smise di comprare i titoli di stato, facendo crescere gli interessi sul debito. Nel 1994, ad epilogo del decennio di "spendi e spandi", ma anche soprattutto in seguito ad interessi molto più alti che l'Italia si trovò a pagare rispetto agli altri stati europei, il rapporto era salito al 124%. Numeri che indussero subito a pesanti privatizzazioni, le quali hanno ridotto il rapporto al 103%, un dato rimasto costante dai primi anni Duemila e fino al 2008. Da quell'anno è iniziato di nuovo ad aumentare fino ad arrivare nel 2014 al 135%, pari a circa 2.100 miliardi di euro. Il perchè di questo aumento negli ultimi sette anni? Non certo per i grandi investimenti statali a favore della collettività, ma piuttosto per l'abbassamento del denominatore (ovvero del PIL, a causa della crisi) e soprattutto per l'aumento stesso del debito assoluto, a causa degli interessi appunto sempre crescenti.
Diciamolo, realisticamente è impossibile pagare un debito di proporzioni simili, con degli interessi galoppanti, che malgrado tagli alla spesa e privatizzazioni, continua sempre a crescere.
Basti pensare ad esempio che l'ammontare del debito italiano è otto volte superiore a tutto il patrimonio immobiliare statale. Soprattutto sarebbe socialmente suicida, specie in un contesto di crisi economica in cui lo Stato, invece di ritirarsi, avrebbe bisogno di intervenire concretamente per migliorare le condizioni di vita delle persone e magari far ripartire l'economia. Occorre semmai trovare un modo (esempio un Audit) per comprendere quale parte di debito è opportuno pagare (es. quello in mano ai cittadini con i titoli di stato) e quale no (verso le banche multinazionali e le istituzioni finanziarie).
La classe politica che ci ha condotto a questa situazione può essere inquadrata in due modi. O è stata reiteratamente incapace, oppure invece è stata volutamente complice del dissesto per portare a un clima favorevole alle privatizzazioni e ai tagli al sociale. Qualsiasi sia la risposta, è evidente che servono risposte nuove e radicali.
Inoltre la situazione è simile per diversi stati europei (Grecia, Irlanda, Portogallo e Spagna hanno problemi simili). In un contesto del genere una risposta incisiva e alternativa rispetto alle ricette fallimentari che finora ci hanno propinato, può arrivare solo a livello europeo, ma non certo dalla BCE o dai tecnocrati di Bruxelles, quanto piuttosto dalle mobilitazioni dal basso dei popoli che pagano la crisi e che vogliono sfuggire dalla trappola del debito. 

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