mercoledì 25 febbraio 2015

Troppi diritti o stipendi troppo bassi? Ecco perché questo paese non "riparte"...

C'è una leggenda che si aggira da tempo in Italia, nei dibattiti televisivi e negli editoriali dei principali quotidiani, che ormai è stata interiorizzata anche da buona parte delle persone. Si tratta dell'idea che le imprese italiane non creano più occupazione perché i lavoratori avrebbero troppi diritti e tutele; concetto dal quale i vari governi degli ultimi anni hanno preso le mosse riducendo pian piano il complesso dei diritti dei lavoratori, come se questo potesse essere un motore per la ripresa economica: l'ultimo atto in tal senso è stato il "Jobs Act" con la cancellazione dell'articolo 18 dello statuto dei lavoratori. 
Una distinzione che spesso nelle analisi non viene fatta è quella fra piccole e grandi imprese. Bene, i lavoratori delle piccole aziende (ovvero al di sotto dei 15 dipendenti) che sono la maggioranza in Italia, non hanno mai avuto l'articolo 18 e le tutele ad esso collegato. Ci fu nel 2003 un referendum per provare ad estendere questa tutela ai dipendenti di tutte le aziende, ma purtroppo fallì. Quindi a ben vedere la gran parte delle aziende e dei piccoli imprenditori italiani non avranno nessun guadagno materiale dalla nuova normativa. Al contrario sono le aziende più grandi (e in particolare le industrie con migliaia di dipendenti) ad avere, grazie alle nuove norme, la possibilità di licenziare con maggiore facilità senza avere l'obbligo di reintegrare in caso di "ingiusta causa", ma potendosi limitare ad esigui risarcimenti in denaro: le cosiddette "tutele crescenti". 
Si tratta di aziende che, come molto spesso accade, non hanno certo timori a delocalizzare in paesi nei quali il costo del lavoro è molto più basso (anche il 90% in meno) e i diritti sono prossimi allo zero. Quindi non è certo con qualche piccola modifica nella legislazione del lavoro che esse invertiranno la propria volontà.
Hanno semmai invece maggiormente peso le eccessive lungaggini e burocrazie presenti in questo paese a tutti i livelli, collegate in alcuni ambienti anche a elementi di malaffare, che scoraggiano chi eventualmente volesse impiantare una nuova azienda. 

Ma andando più a fondo e tornando sul tema iniziale, siamo sicuri che le imprese non assumano nuovo personale per i "troppi diritti"? Non è forse che invece non si assume perché banalmente c'è sempre meno bisogno di produrre nuova merce, dal momento le persone possono consumare sempre meno? E pertanto anche a causa del fatto che gli stipendi sempre più bassi creano una "crisi di domanda" interna? In Italia in effetti fino agli anni '70 c'erano i salari reali fra i più alti d'Europa, ma una serie di progressivi arretramenti (anche sul piano delle rivendicazioni sindacali) ci hanno portato ad avere invece oggi fra gli stipendi più bassi del continente. I salari sono scesi, i profitti sono aumentati. Riflettere sull'ingiusta ripartizione della ricchezza fra capitale e lavoro che negli ultimi decenni ha caratterizzato questo paese (al di là della crisi economica mondiale) è quindi centrale per capire le dinamiche economiche contemporanee. E ci farebbe arrivare alla conclusione che per far davvero "ripartire questo paese", creare nuovo lavoro e opportunità, servirebbe una più equa ripartizione delle risorse...

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