mercoledì 18 febbraio 2015

Disagio giovanile, un segno della crisi del modello di società

Una delle prime riflessioni di questo mio blog sento di doverla fare sulla crisi di identità e generazionale che molti giovani, in particolare adolescenti, stanno mostrando in questo periodo; fenomeno che si è dimostrato in tutta la sua crudezza nel mio paese natale con il suicidio di due sedicenni nel giro di appena tre mesi.
Al di là dei pochi che hanno la tentazione di arrendersi, ci sono comunque in generale sempre più casi di depressione, di fughe per richiamare l'attenzione degli adulti, ma anche fenomeni di dispersione scolastica più alti rispetto a un decennio fa.
Piuttosto che giudicare le scelte di ognuno, credo che serva una riflessione collettiva su come è stato costruito questo tipo di società. Sarebbero molte le considerazioni da fare, ma credo sia opportuno partire da un dato, che apparentemente può non sembrare legato a questo argomento, ma che credo abbia un significato sociale; infatti mai come negli ultimi anni infatti in Italia si sono venduti così pochi scooter e ciclomotori di cilindrata 50. Questo è a mio avviso uno dei tanti segnali che ai ragazzini di oggi non "interessa" più nemmeno avere due ruote per prendersi uno spazio di libertà. I ragazzi nati a cavallo del nuovo millennio sono la prima generazione cresciuta con Internet ossessivamente presente nelle nostre vite e quindi non hanno avuto la possibilità di conoscere il "prima" rispetto a questo sistema. Spesso credono di essere liberi dietro a uno schermo, ma purtroppo così non è. Le risposte che non si trovano nella realtà, sono tanto meno ritrovabili nella finzione. Così come oggi vi è una eccessiva spinta a "crescere in fretta" rispetto a pochi anni fa, con gli adolescenti che vogliono fare "subito e tutto" quello che fanno i grandi.
Una grande fetta di responsabilità va anche ovviamente al modello di società che ci è stato costruito intorno.
Ci vogliono infatti far credere che la felicità si troverebbe nell'avere, nel comprare e nell'apparire. Ci vorrebbero in realtà rendere solo più produttivi, più subalterni e in fondo tutti uguali.
La conseguenza è la solitudine dell'individuo che finisce con il non sentirsi più membro della società (i sociologi parlerebbero di "anomia"), finendo nei casi più estremi con l'autodistruzione, ma molto più spesso a isolarsi, a chiudersi nel proprio privato e a non sentirsi più come parte della realtà circostante. Anche queste sono le conseguenze di un modello socio-economico basato sui tagli alla scuola e ai servizi sociali, sulla precarietà e sulla privatizzazione degli spazi, che vuol togliere la speranza agli individui di poter fare qualcosa per cambiare il mondo che ci circonda. 
Trovare risposte generali a questi fenomeni è estremamente difficile, ma piccoli esempi virtuosi locali possono sempre essere utili, grazie ad esempio al lavoro delle associazioni, che molto spesso si trovano a supplire alle carenze di una politica sorda. Serve più in generale ricreare una nuova idea di socialità, servono città e quartieri a misura di persona (e di giovane in particolare). Servono insomma più spazi e momenti pubblici che facciano tornare agli individui la voglia di stare insieme, di fare società e che quindi alludano alla possibilità di trasformare un presente con poche prospettive, in un altro futuro possibile.

Nessun commento:

Posta un commento